giovedì 10 marzo 2016

Arrivano i computer biologici: lo studio è basato sull’adenosina trifosfato (ATP).

------------------------
Un modello di “computer biologico” in grado di processare grandi moli di dati. Lo ha messo a punto il team di Dan Nicolau della McGill University.
Chi ha detto che il cervello di un robot debba necessariamente essere fatto di silicio o germanio? E i suoi arti di titanio, materiali a memoria di forma o grafene? Per chi si ritrova con l’idea classica dell’automa realizzato da un ammasso di materia inerte, gli esperimenti condotti da Dan Nicolau della McGill University suoneranno come una stupefacente, nuova possibilità. Ormai molto prossima a divenire realtà. Infatti, il gruppo di ricerca guidato da Nicolau ha elaborato un modello di “computer biologico” in grado di processare grandi moli di dati in un tempo confrontabile con quello impiegato da supercomputer di grandi dimensioni. Qual è, dunque, l’ingrediente (poco) segreto di questo portento tecnologico?
La risposta a questa domanda è sorprendente: la sostanza su cui è basato lo studio del gruppo di ricerca della McGill è l’adenosina trifosfato (ATP), una molecola presente in tutti gli organismi viventi, che fornisce energia a tutte le loro cellule. Il “computer vivente” appare simile ad una città vista dall’alto: una miriade di canali che corrono lungo la sua superficie, creando un fitto reticoli di vie e piazze, percorse da veicoli, ognuno alimentato da un motore di taglia differente, e che consumano il carburante necessario a farli muovere. Tutto in una schedina quadrata di 1.5 cm di lato.
Considerando una rapida analogia con i circuiti elettronici, in quel caso a muoversi lungo le piste sono gli elettroni, che col loro flusso determinano le correnti necessarie a “trasportare” le informazioni da un punto ad un altro. In questo caso gli elettroni sono sostituiti da piccole stringhe di proteine, che si muovono lungo il circuito utilizzando come propellente proprio l’ATP: secondo Nicolau, in questo modo, dal momento che l’energia è fornita da agenti biologici, il consumo di energia calerebbe drasticamente rispetto a quello dei calcolatori elettronici standard. Questi generalmente, presentano consumi elettrici piuttosto elevati, considerando che la conduzione di corrente provoca un riscaldamento che deve essere fronteggiato da un adeguato sistema di raffreddamento che, naturalmente, ha i propri consumi.
Il lavoro del tema di Nicolau rientra in un ambito più ampio, quello di macchine viventi, realizzate con sostanze organiche, uno degli obiettivi di una disciplina denominata Natural Computing, che si occupa, inoltre, di indagare sullo sviluppo di tecniche innovative per la risoluzione di problemi complessi che traggano ispirazione dalla natura, realizzate mediante sostanze organiche o anche computer tradizionali.
Qualche esempio? I cosiddetti automi cellulari, dei particolari modelli studiati in fisica, in matematica e in biologia costituiti da griglie di celle che possono avere differenti stati, i più semplici dei quali sono spento e acceso. Lo stato di ognuna delle celle dipende, ad ogni istante, da quello delle celle circostanti. Il più famoso di questi automi, “Game of Life”, è stato ideato dal matematico inglese John Conway: il suo scopo è dimostrare come comportamenti complessi sperimentabili nella realtà siano riconducibili a semplici insiemi di regole di sopravvivenza o interazione di celle che rappresentano individui. Si può giocare al Gioco della Vita di Conway anche online, provando ad ideare nuovi schemi o disposizioni iniziali per le celle, e divertendosi poi a scoprire come la creatura artificiale evolve nel tempo.
Gli sforzi dei ricercatori di utilizzare sostanze presenti negli esseri viventi e di emulare nelle logiche dei calcolatori tradizionali meccanismi ispirati dalla biologia hanno un unico, ambizioso obiettivo: la creazione di una nuova generazione di computer energeticamente più sostenibili e intelligenti, ispirati alla nostra stessa natura.
Riferimenti:  Pnas Doi: 10.1073/pnas.151082511
Credits immagine: Till Korten

lunedì 7 marzo 2016

La pelle dell'invisibilità rende oggetti invisibili ai radar: Contiene metallo liquido che manipola onde elettromagnetiche.

Fonte: ANSA Scienze
---------------------------
Dopo i mantelli, arriva la 'pelle dell'invisibilità'. È una pelle elettronica flessibile ed elastica all'interno della quale si trovano dispositivi di metallo liquido che riescono a manipolare le onde elettromagnetiche rendendo gli oggetti invisibili ai radar.
Descritta sulla rivista Scientific Reports, la 'pelle' è stata messa a punto negli Stati Uniti dai ricercatori della Iowa State University: è costruita con due fogli di silicone tra i quali vi sono i dispositivi elettronici che 'neutralizzano' i radar perché 'catturano' i loro segnali e non li riflettono. Il radar infatti funziona inviando dei segnali e poi ascoltando l'eco che questi segnali generano quando sono riflessi da una superficie, che viene in questo modo identificata. I dispositivi che 'intrappolano' i segnali dei radar si chiamano risonatori e hanno la forma di un anello dello spessore di mezzo millimetro.
Al loro interno vi è un lega di metallo chiamata galinstano, che è liquida a temperatura ambiente e che permette di non riflettere le onde elettromagnetiche.
Durante i test il materiale ha dimostrato una efficacia di circa il 75% nelle frequenze delle onde elettromagnetiche utilizzate dai radar, che sono comprese tra 8 a 10 gigahertz.
Quando gli oggetti sono avvolti nella pelle dell'invisibilità le onde elettromagnetiche utilizzate dai radar vengono 'neutralizzate' in tutte le direzioni. Inoltre, quando la pelle viene allungata, gli anelli cambiano dimensione e cambia anche la frequenza alla quale funzionano. Il materiale, in futuro, potrebbe essere usato per rivestire gli aerei ma ha sottolineato Liang Dong, che ha coordinato la ricerca, ''l'obiettivo a lungo termine è di ridurre le dimensioni dei dispositivi e farli funzionare anche alle frequenza della luce visibile e all'infrarosso''.

Il materiale 2D che fa concorrenza al grafene: è composto da silicio, boro e azoto.

------------------------
Un nuovo materiale, costituito da silicio, boro e azoto, potrebbe presto rimpiazzare gli altri semiconduttori solitamente utilizzati nelle tecnologie digitali, grazie alla facile reperibilità e il basso costo dei componenti.
È fatto di silicio, boro e azoto, tutti materiali leggeri, poco costosi e abbondanti sulla Terra: si tratta di un nuovo materiale 2-D (ossia con uno spessore pari a quello di un solo atomo) che potrebbe presto rimpiazzare il grafene e far compiere passi da gigante alle tecnologie digitali. Il materiale, presentato in uno studio pubblicato su Physical Review B e scoperto da un fisico della University of Kentucky, sarebbe anche estremamente stabile, una proprietà che molte alternative al grafene non possiedono.
“Abbiamo effettuato numerose simulazioni per vedere se i legami si sarebbero rotti, ma non è successo,” ha spiegato Madhu Menon, che ha preso parte alla ricerca, “Abbiamo scaldato il materiale fino a 1000 gradi Celsius, e non si è disintegrato.”
Menon e i suoi colleghi hanno dimostrato che combinando questi tre elementi, è possibile ottenere un materiale con proprietà che possono essere adattate a varie applicazioni, in un modo impossibile da replicare con il grafene. Nonostante il grafene sia infatti un elemento unico con proprietà assai specifiche, esso presenta un grande svantaggio: non è un semiconduttore, ed è quindi assai difficile da usare nell’industria delle tecnologie. Proprio per questo, nel tempo sono stati sviluppati dei materiali semiconduttori chiamati dicalcogenuri dei metalli di transizione (TMDC), che vengono utilizzati ad esempio nei processori. Questi sono tuttavia assai più ingombranti del grafene, e composti di materiali rari da trovare e quindi costosi.
Lo scopo del team era proprio quello di ottenere un’opzione leggera e poco costosa, che possedesse le proprietà di un semiconduttore: per questo i ricercatori hanno studiato diverse combinazioni di elementi appartenenti alle prime due righe della tavola periodica, e hanno scoperto che l’unica combinazione stabile di silicio, boro e azoto sembrava avere le proprietà cercate. Gli atomi sono disposti in una struttura esagonale, come nel grafene, ma le somiglianze finiscono qui: i tre elementi che compongono il nuovo materiale hanno infatti dimensioni diverse, e sono tenuti insieme da diversi legami, di conseguenza i lati dell’esagono che essi formano sono diseguali. Il nuovo materiale ha proprietà metalliche, ma può essere reso un semiconduttore facilmente, legando altri elementi agli atomi di silicio.
“Questa scoperta apre un nuovo capitolo nella fisica della materia, offrendo nuove opportunità per i ricercatori che vogliono esplorarne le proprietà per nuove applicazioni,” ha concluso Menon, “Possiamo aspettarci delle belle sorprese.”
Riferimenti: Physical Review B doi: 10.1103/PhysRevB.93.081413
Credits immagine: Madhu Menon

Scattata prima 'istantanea' di un cervello che impara: Dimostra come l'apprendimento modella il cervello.

Fonte: ANSA Scienze
---------------------------
Osservato per la prima volta un cervello che impara: nei topi le immagini mostrano per la prima volta la riorganizzazione dei neuroni, con la creazione di nuove connessioni, dopo aver imparato qualcosa di nuovo. La scoperta pubblicata su Nature Communication da Linda Wilbrecht, dell'università della California a Berkeley, dimostra per la prima volta come l'apprendimento possa modellare la struttura del cervello.
"Siamo entusiasti perché queste sono le prime immagini dal vivo del 'ricablaggio' del cervello”, ha spiegato Wilbrecht. Che il miglioramento delle capacità cognitive fossero il frutto della continua trasformazioni dei collegamenti tra i neuroni, delle vere e proprie reti in costante evoluzione, era risaputo da tempo ma gli esperimenti condotti dai ricercatori americani hanno permesso per la prima volta di vedere questo meccanismo in azione. Per farlo hanno usato dei topi impegnati a trovare il modo migliore per ottenere del cibo. I roditori sono stati posti davanti a una serie di 'ostacoli' all'ottenimento del cibo, ad esempio imparare a riconoscere e premere il pulsante giusto per poter ottenere dei cereali. Dopo i successi ottenuti, i ricercatori hanno osservato nel cervello dei topi, grazie a innovative tecniche di microscopia, evidenti trasformazioni delle reti neurali dei lobi frontali della corteccia cerebrale. Trasformazioni di questo tipo erano state osservate durante l'apprendimento di nuovi compiti a livello di coordinamento motorio ma mai finora nell'apprendimento: “questi dati ci fanno fare un grande passo in avanti nel capire come l'apprendimento attivo possa scolpire il nostro cervello”, ha commentato Wilbrecht. La scoperta fornisce prove a sostegno delle tecniche del cosiddetto insegnamento 'attivo' (tra cui anche il metodo Montessori), un approccio che promuove il pensiero critico e il problem-solving all'interno delle scuole e dei luoghi di lavoro.