mercoledì 27 maggio 2015

Ebola, scoperto il tallone d'Achille del virus: Ora è possibile sviluppare nuovi farmaci per bloccare l'infezione.

Fonte: ANSA Scienze 
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Il virus Ebola ha un tallone d'Achille: si tratta del 'lucchetto' molecolare che deve necessariamente forzare per entrare nelle cellule e infettarle. Se questa serratura viene bloccata, il virus diventa del tutto inoffensivo e incapace di scatenare il suo potenziale letale. Lo hanno scoperto nei topi gli esperti dell'Istituto di ricerca medica per le malattie infettive dell'esercito degli Stati Uniti, in collaborazione con l' Albert Einstein College of Medicine dell'Università Yeshiva a New York.
Lo studio, pubblicato sulla rivista mBio, apre così allo sviluppo di nuovi farmaci non più mirati al virus, bensì alle cellule dell'ospite: disattivando temporaneamente il loro lucchetto, diventerebbe possibile bloccare l'infezione e aiutare il sistema immunitario a sbarazzarsi dello sgradito ospite.

Quando il virus Ebola aggredisce una cellula, lo fa attaccandosi alla sua membrana esterna: questa lo avvolge in una bolla che viene poi inglobata all'interno della cellula diventando una specie di sacchetto della spazzatura pronto ad essere trasportato negli organelli che funzionano da inceneritori, i cosiddetti lisosomi. Per salvarsi dalla distruzione, il virus tenta quindi di evadere dalla bolla membranosa che lo intrappola: lo fa forzando un lucchetto, ovvero la proteina di membrana Niemann-Pick C1 (NPC1), che gli apre la strada verso il citoplasma, la sostanza gelatinosa posta fra la membrana e il nucleo della cellula. Una volta rifugiatosi qui, il virus Ebola è libero di replicarsi, scatenando l'infezione vera e propria.

Lo stesso meccanismo viene sfruttato anche da altri virus responsabili delle febbri emorragiche, come il virus Marburg: per questo i farmaci diretti contro NPC1 potranno diventare la 'pallottola d'argento' per eliminarli.

martedì 26 maggio 2015

Un diodo fatto con una singola molecola.

Fonte: Galileonet.it
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Sono tra i componenti elettronici più utilizzati nei circuiti integrati. Si chiamano diodi, e il loro funzionamento è piuttosto semplice: permettono alla corrente elettrica di circolare in un’unica direzione all’interno del circuito, bloccandone il flusso nella direzione opposta. I fisici della Columbia Engineering, coordinati da Latha Venkataraman, sono appena riusciti a mettere a punto il “sacro Graal” dell’elettronica molecolare: un diodo composto da una singola molecola, primo al mondo nel suo genere, con prestazioni fino a cinquanta volte superiore rispetto ai dispositivi tradizionali. I dettagli della scoperta sono stati pubblicati sulla rivista Nature Nanotechnology.
“Con il nostro approccio”, spiega Venkataraman, “abbiamo messo a punto un diodo a singola molecola, un dispositivo finora considerato una chimera nell’ambito delle nanotecnologie. Il diodo è l’espressione del più alto grado di miniaturizzazione raggiungibile per un dispositivo elettronico”. È dal 1974 che i ricercatori cercavano di sviluppare un dispositivo del genere, quando Arieh Aviram e Mark Ratner teorizzarono che una singola molecola poteva comportarsi, sotto certe condizioni, come un conduttore di corrente elettrica in una sola direzione. Dal momento che i diodi sono una sorta di valvole elettroniche, la loro struttura deve essere asimmetrica, così da consentire alla corrente di scorrere solo in un verso: gli scienziati della Columbia, quindi, hanno cercato molecole con strutture asimmetriche.
“Mentre alcune molecole asimmetriche, in effetti, hanno alcune caratteristiche proprie dei diodi”, continua Venkataraman, “altre non ne hanno. Un diodo ben progettato dovrebbe consentire alla corrente di scorrere solo in una direzione con poca resistenza. Il problema principale delle molecole asimmetriche è che il rapporto tra la corrente che fluisce in una direzione e quella che fuisce nell’altra – il cosiddetto rectification ratio – è troppo basso”. Per superare questo problema, l’équipe ha immerso la molecola in una soluzione ionica con elettrodi d’oro di differenti dimensioni per generare l’asimmetria: in questo modo, il dispositivo ha raggiunto una rectification ratio di 250 (in altre parole, la corrente che scorre in un verso è 250 volte superiore rispetto a quella che fluisce nell’altro), cinquanta volte maggiore rispetto ai modelli precedenti. I ricercatori, adesso, stanno lavorando per aumentare ulteriormente le performance del dispositivo, usando nuovi sistemi molecolari.

Il gene che fa sentire il dolore: Apre la strada a nuove terapie.

Fonte: ANSA Scienze
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Si apre una nuova strada per le terapie antidolore e arriva dal Dna. I ricercatori guidati da Geoffrey Woods e Jan Senderek, dell'università di Cambridge, hanno infatti scoperto il gene che fa percepire dolore, chiamato PRDM12.

Pubblicata sulla rivista Nature Genetics, la scoperta è la chiave per comprendere come nasce il dolore. I ricercatori hanno individuato il gene negli individui incapaci di provarlo perchè affetti dalla insensibilità congenita al dolore (Cip), una rara condizione per cui una persona non riesce a provare sofferenza fisica.
Le cause sono molteplici e capire i cambiamenti molecolari che ne sono alla base può aiutare a sviluppare terapie contro il dolore cronico.

Il dolore è un meccanismo di allerta indispensabile, ma a volte è molto difficile da sopportare e gestire. Così, partendo dallo studio di persone insensibili alla sofferenza fisica, membri di 11 famiglie non imparentate tra loro, i ricercatori hanno individuato 10 diverse mutazioni in entrambe le copie del gene PRDM12.
Chi ha queste mutazioni è dunque incapace di sentire il dolore fin dalla nascita e non riesce, per esempio, a distinguere tra il freddo o un calore sgradevole, mentre gli altri sensi sono normali.

Analizzando le cellule di topi e uomini normalmente sensibili al dolore, i ricercatori hanno visto poi che il gene PDRM12 è espresso proprio dai recettori del dolore e dalle cellule collegate, che la proteina da esso prodotta è un fattore chiave per la genesi dei nervi collegati alle sensazioni e può essere presa come bersaglio per nuove terapie antidolore.

domenica 24 maggio 2015

Auto elettrica, la ricarica del futuro è wireless.

Fonte: Euronews
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E’ possibile ricaricare un’auto elettrica senza cavo? La ricerca sta andando in questa direzione. A Saragozza, in Spagna, i ricercatori hanno installato una stazione che ricarica veicoli elettrici che non è come le altre.
Il sistema è wireless: funziona senza cavi e permette di fare il pieno parcheggiando semplicemente la macchina sopra a una piastra ricaricante.
“E’ una tecnologia a induzione che funziona con due piastre: una sotterrata, che riceve l’energia dalla rete elettrica e fa da piastra ricaricante, e un’altra che funge da batteria e si trova sotto il veicolo. Quando il veicolo è esattamente sopra alla stazione, si stabilisce una connessione tra le due piastre e quella sotterrata trasferisce l’elettricità al veicolo. Il sistema può ricaricare diversi tipi di veicolo: automobili, autobus e furgoni”, dice Lourdes García, ingegnere presso Endesa.
Tra i vantaggi, i ricercatori dicono che questa tecnologia è più facile da usare, più sicura, esteticamente meno invasiva delle colonnine ed è meno soggetta ad atti vandalici.
“Lo sviluppo è davvero a buon punto. Siamo in grado di sfruttare praticamente tutto il potenziale e abbiamo tutto ciò che serve per costruire la stazione wireless. L’unico aspetto rimasto indietro sono le piastre: dobbiamo ancora trovare aziende interessate a svilupparle. Si tratta di bobine molto innovative e non è facile trovare produttori”, dice Francisco Sanz Osorio, ingegnere industriale presso il Research Centre for Energy Resources and Consumption.
La tecnologia è stata sviluppata nell’ambito di un progetto di ricerca europeo che mira, tra l’altro, ad aumentare il gradimento delle auto elettriche.
A livello tecnologico, i ricercatori hanno dovuto affrontare tre sfide.
“La prima è stata a livello della comunicazione tra l’automobile e l’infrastruttura. La seconda ha riguardato la trasmissione dell’energia elettrica tra un’auto da 3,7 KW e una stazione ricaricante da 50 KW. Infine, abbiamo affrontato il problema del posizionamento del veicolo. Perché il sistema ha la massima efficienza soltanto se le due piastre si trovano esattamente una sopra l’altra”, dice Axel Barkow, ingegnere elettronico presso FKA e coordinatore del progetto.
Come aiutare i guidatori a posizionare perfettamente il veicolo?
Gli ingegneri elettonici hanno lavorato per mettere a punto un sistema di assistenza per allineare il veicolo esattamente con la piastra ricaricante, in modo da non avere alcuno spreco di energia.
Hanno lavorato con i campi magnetici, con studi ottici e con algoritmi.
“Per aiutare il guidatore ad avvicinarsi e a posizionarsi sopra la stazione, abbiamo creato un sistema di supporto basato su una telecamera e su una identificazione a radiofrequenza”, spiega Jörg Küfen, ingegnere elettronico presso FKA.
Rimangono alcuni aspetti da migliorare: per esempio, aumentare il potenziale della stazione ricaricante e l’interoperabilità.
“Noi stiamo lavorando su una certa frequenza, ma in altri Paesi stanno usando altre frequenze. Dobbiamo armonizzarle. Dobbiamo anche armonizzare la dimensione delle piastre e la distanza con il veicolo. Altrimenti non avremo la piena interoperabilità”, dice José Francisco Sanz Osorio, ingegnere industriale presso il Research Centre for Energy Resources and Consumption.
“Credo che per le automobili siamo davvero vicini a una produzione in serie. Tra uno o due anni potremo vedere le prime auto dotate di questa tecnologia”, dice Axel Barkow, ingegnere elettronico presso FKA e coordinatore del progetto.
La grande sfida ora è quella di sviluppare una tecnologia non statica ma dinamica, che permetta per esempio di ricaricare un veicolo quando è in movimento sulla strada.

giovedì 21 maggio 2015

Vortex, l'eolico senza pale ...grazie alle vibrazioni!


(articolo di Roberto Rizzo)
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Una startup spagnola rilancia una vecchia idea: l’eolico senza pale che funziona tramite le vibrazioni. Finora non ha funzionato, ma con le nuove tecnologie le prove di laboratorio e i primi test sul campo hanno dato segnali positivi.
Una turbina eolica a basso costo, che richiede poca manutenzione ed è facile da installare. E senza le pale. È la sfida della startup spagnola Vortex, che sta testando sul campo la sua nuova turbina senza pale che sfrutta l’energia del vento per produrre energia elettrica. La turbina è a forma di cono allungato (la cima è più grande, la base è più piccola) e inizia a oscillare violentemente sotto le opportune condizioni di vento, e a produrre di conseguenza energia elettrica.
La forma è stata sviluppata a computer al fine di garantire la formazione di vortici di vento lungo tutto l’albero. Quando la frequenza di rotazione dei vortici coincide con la frequenza di oscillazione della struttura, si raggiunge un picco nell’assorbimento dell’energia del vento da parte della struttura stessa. La macchina basa quindi il proprio funzionamento sul fenomeno aerodinamico della vorticità, uno dei nemici di architetti e ingegneri che progettano i loro manufatti, come ciminiere e ponti, proprio per evitare la formazione dei vortici di vento.
Il motivo è semplice: se il vento è sufficientemente forte e i vortici hanno la frequenza giusta, la vorticità può portare a un moto oscillatorio nelle strutture, anche quelle rigide, fino a provocarne l’eventuale collasso per risonanza. Nei prototipi di Vortex attualmente in fase di test, è stato usato un composito di fibra di vetro e fibra di carbonio, che permette all’albero di vibrare il più possibile (un aumento della massa riduce la frequenza naturale di oscillazione). Alla base del cono si trovano due anelli di magneti repellenti, che agiscono come una sorta di motore non elettrico. Quando il cono oscilla in una direzione, i magneti lo tirano nella direzione opposta, per aumentarne il movimento indipendentemente dalla velocità del vento. L’energia cinetica dell’albero viene convertita in energia elettrica attraverso un alternatore.
La macchina non richiede ingranaggi, bulloni o parti meccaniche in movimento e tutto questo fa sì che la turbina abbia costi di produzione pari a circa la metà rispetto agli aerogeneratori tradizionali e l’80% in meno di costi di manutenzione. Non essendoci contatti fra parti in movimento, non è necessario neanche l’utilizzo di lubrificanti. Altri vantaggi sono la sicurezza per gli uccelli, visto che non sono installate pale in movimento, e l’estrema silenziosità della macchina.
In base ai dati forniti dall’azienda, Vortex Mini (altezza di circa 12 metri) è in grado di catturare fino al 40% della potenza del vento in condizioni ideali, cioè a una velocità del vento di circa 11,6 metri al secondo (circa 42 km all’ora). Si stima per Vortex Mini una produzione di circa un terzo inferiore rispetto alle turbine eoliche tradizionali della stessa potenza, ma tale differenza può essere compensata dal numero maggiore di macchine che si possono installare (circa il doppio) nella stessa superficie. Sempre secondo le informazioni fornite dal costruttore, il costo al megawattora (MWh) prodotto risulta del 40% inferiore rispetto all’eolico convenzionale.
L’azienda ha già raccolto un milione di dollari fra capitali privati e finanziamenti statali in Spagna e lancerà dal 1° giugno una campagna di crowfunding. Il primo prodotto, una turbina da 100 Watt di potenza e 3 metri di altezza, dovrebbe essere installata nei Paesi in sviluppo entro la fine dell’anno. La turbina Vortex Mini da 4 kW di potenza dovrebbe essere pronta nel corso del 2016 e si rivolgerà alle piccole aziende e al settore domestico. Un modello più grande (Vortex Gran da 1 MW di potenza) dovrebbe entrare in commercio nel 2018.
«Si tratta di metodi di generazione noti da diversi decenni», spiega Lorenzo Battisti, docente dell’Università di Trento. «In passato ci sono stati diversi tentativi di sviluppo di turbine eoliche senza pale, che però purtroppo non hanno dato risultati particolarmente positivi. Erano basati o su sistemi in oscillazione oppure su dispositivi in cui il vento stesso effettuava un trasporto di cariche elettriche attraverso la machina. Una prima difficoltà che vedo in questa tecnologia senza pale riguarda la turbolenza del vento», prosegue l’esperto. «Un conto è fare gli esperimenti in laboratorio nel tunnel del vento, un conto è farli in campo aperto, perché la banda di velocità del vento in cui la macchina produce energia è assai ristretta ed è molto complesso controllare la variabilità del vento. È vero che si sono fatti enormi passi avanti nelle generazione elettrica e con le nuove tipologie di generatori elettrici si può pensare a forme di conversione quasi statica. Ma permane il problema della bassa densità di potenza dell’energia eolica e quindi la necessità di macchine di grosse dimensioni». Secondo Battisti, infatti, «aumentando la dimensione delle macchine, si perde però il vantaggio della scarsa intrusività e della occupazione limitata di territorio. Credo quindi che sia fondamentale aspettare le sperimentazioni e vedere i risultati concreti che si otterranno. La storia commerciale ci fa vedere quali sono le tecnologie che hanno il miglior compromesso costi-benefici: se si è affermata una certa tipologie di macchine è perché al momento è quella che garantisce le prestazioni migliori».

Cern, fisica verso rivoluzione con collisioni da record.

Fonte: ANSA Scienze
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Dalla materia oscura all'esistenza di nuove dimensioni, la fisica si prepara ad una rivoluzione. Sono state infatti ottenute al Cern le prime collisioni di particelle all'energia record di 13.000 miliardi di elettronvolt (13 TeV), mai raggiunta finora. Il più grande acceleratore del mondo, il Large Hadron Collider (Lhc), si prepara così ad esplorare la cosiddetta 'nuova fisica'.

Le prime collisioni, rende noto il Cern, sono avvenute nella notte su tutti e quattro i grandi esperimenti dell'Lhc (Atlas, Cms, Alice e Lhcb). Secondo i ricercatori impegnati negli esperimenti, fra i quali circa 700 italiani coordinati dall'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn), queste prime collisioni sono ancora dei test che nelle prossime settimane permetteranno di allineare perfettamente i fasci di protoni, in modo da cominciare gli esperimenti.

mercoledì 20 maggio 2015

Cosa "pensa" una pianta quando la accarezziamo? Oggi è possibile vederlo!

Fonte: ANSA Scienze
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Che cosa 'pensa' una pianta quando la accarezziamo? Oggi è possibile vederlo, grazie ad una soprendente installazione realizzata dai ricercatori dell'Università di Firenze ad Expo 2015.

Piantine di salvia e menta sono riunite su un tavolo come pazienti sottoposti ad elettroencefalogramma: gli elettrodi, applicati sulle foglie, registrano ogni segnale elettrico prodotto in risposta al tocco della mano dei visitatori. Ciascuno di questi 'pensieri' viene quindi tradotto in lampi di luce colorata, che illuminano una cupola sospesa sopra i vasi come un cielo variopinto. Un esperimento emozionante, frutto di oltre 15 anni di ricerche, che permette di indagare l'intelligenza delle piante visualizzando le loro sensazioni.

''Proprio come accade negli animali e nell'uomo, anche le piante sono sensibili al tocco'', spiega Stefano Mancuso, esperto di Neurobiologia vegetale dell'università di Firenze. ''Le cellule della loro 'pelle' sono dotate di canali che si aprono e chiudono in funzione di stimoli meccanici come tensione e pressione: in questo modo - prosegue l'esperto - regolano il flusso di particelle cariche da una parte all'altra della membrana, generando un segnale elettrico''.

Questo flusso viene letto come un segnale di aggressione, una vera e propria allerta che viene lanciata a tutto il resto dell'organismo vegetale. ''Le piante non amano essere toccate'', ricleva Mancuso. ''Per loro il contatto significa essere in prossimità di un pericolo, di un ostacolo o di un'altra pianta concorrente''. Da qui la necessità di organizzare una risposta che permetta alla pianta di sopravvivere alla minaccia pur non potendo correre e scappare via. ''Negli animali, un simile messaggio di pericolo viene elaborato nel cervello, ma nelle piante questo non c'è. Le funzioni vitali, come la nutrizione e la respirazione, non sono compartimentate in organi ben definiti, ma sono spalmate sull'intero organismo: così anche l'intelligenza è diffusa e coinvolge ogni distretto, dalle radici alle foglie''.

Il funzionamento di questo 'cervello diffuso' può essere monitorato grazie agli elettrodi che registrano i segnali elettrici ed il nuovo software, sviluppato dai ricercatori dell'università di Firenze con il supporto della National Instruments, che permette di tradurre il linguaggio delle piante in segnali a noi comprensibili. ''E' come se le piante ci parlassero'', spiega Mancuso. ''Intercettando questi messaggi possiamo scoprire molto di loro: non soltanto se sono state toccate, ma anche se hanno sete, se hanno 'respirato' smog e se hanno trovato inquinanti nell'acqua che hanno bevuto''.

La prima antenna, stampata con l'inchiostro al grafene.

Fonte: ANSA Scienze
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E' pronta la prima antenna stampata usando un inchiostro al grafene. Funziona bene, tanto da identificare radio frequenze e sensori wireless, inoltre è flessibile, amica dell'ambiente e consente una produzione low cost su larga scala. E' un passo in avanti molto importante per la diffusione dei computer indossabili e verso la cosiddetta 'Internet delle cose'. Descritta sulla rivista Applied Physics Letters, è stata costruita dal gruppo dell'università di Manchester guidato da Kostya Novoselov, premiato con il Nobel nel 2010 proprio per la scoperta del grafene insieme al collega Andre Geim.

Uno dei primi prodotti commerciali realizzati con il grafene è stato un inchiostro conduttivo da usare per stampare circuiti e altri componenti elettronici. L'inchiostro al grafene è generalmente economico e meccanicamente flessibile, il che lo rende più vantaggioso rispetto agli altri tipi di inchiostri conduttivi, come le soluzioni fatte di nanoparticelle metalliche. Ma per realizzarlo si usa generalmente una sostanza legante, per consentire all'inchiostro di attaccarsi, che conduce meglio l'elettricità ma non può essere usata su carta o plastica perché richiede alte temperature.

I ricercatori britannici hanno però trovato il modo di aumentare la conduttività dell'inchiostro al grafene senza ricorrere ad un legante: prima hanno stampato e essiccato l'inchiostro, e poi lo hanno compresso con un rullo. In questo modo la conduttività dell'inchiostro e quella delle lamine di grafene così ricavate è raddoppiata.

I ricercatori hanno poi testato le lamine di grafene stampando su un pezzo di carta l'antenna, che è lunga circa 14 centimetri, ha una sezione di 3,5 millimetri ed è in grado di diffondere una radiofrequenza efficace. Stampare componenti elettroniche su materiali economici e flessibili come la carta e la plastica può rendere ancora più diffusa la tecnologia wireless di identificazione a radiofrequenza (rfid), per cui finora sono stati usati metalli costosi come alluminio e rame.

Entro il 2016, il primo esperimento europeo di crittografia quantistica.

Fonte: ANSA Scienze
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Dati scientifici viaggeranno da Torino a Ginevra grazie a particelle di luce, al sicuro da qualsiasi tentativo di intercettazione: cercare di impossessarsene significherebbe distruggerli. E' quanto si prepara a fare entro il 2016 il primo esperimento europeo di crittografia basato sulle leggi bizzarre della fisica quantistica, coordinato dall'Italia, con l'Istituto Nazionale di Ricerca in Metrologia (Inrim).

L'esperimento, che potrebbe aprire la strada alla prossima generazione di Internet, è uno degli otto al nastro di partenza in Europa e con i quali la scienza della misura si prepara a 'costruire' il futuro. Saranno presentati il 20 maggio a Torino, in occasione della Giornata Mondiale della Metrologia, organizzata dall'Inrim in collaborazione con l'associazione Amma (Aziende Meccaniche Meccatroniche Associate) per celebrare i 140 anni dalla firma della Convenzione del Metro. Dedicato all'Anno Internazionale della Luce, il convegno ''riguarda in modo particolare le applicazioni industriali della scienza della misura'', ha detto il presidente dell'Inrim, Massimo Inguscio. Applicazioni, ha aggiunto, nelle quali la luce riveste un ruolo di primo piano.

E' il caso, per esempio, del primo esperimento di crittografia quantistica, chiamato Micro Photon Devices: entro il 2016 i dati viaggeranno da Torino a Ginevra trasportati da una particella di luce (fotone) alla volta. Sono costruiti in Italia sia l'apparecchiatura che invierà i dati, sia il ricevitore. Proprio come è accaduto con le origini di Internet, inizialmente la crittografia quantistica servirà a proteggere dati scientifici, ma gli esperti immaginano già la sua portata rivoluzionaria sulla nuova generazione di Internet.

I 140 della Convenzione del Metro diventano così l'occasione per guardare al futuro, con ben otto progetti europei pronti a partire dal prossimo primo giugno. ''Sono tutti progetti industriali, del valore di più di 3 milioni e cofinanziati al 50% dal Programma europeo di metrologia per l'innovazione e la ricerca'', ha spiegato Vito Fernicola, responsabile della nuova struttura dell'Inrim nata per accelerate il trasferimento tecnologico. Oltre alla crittografia quantistica, i progetti riguardano i nuovi sistemi di navigazione satellitare che permetteranno, ad esempio, la diffusione delle auto senza pilota ed ai quali l'Inrim sta lavorando in collaborazione con l'Agenzia Spaziale Italiana (Asi).

lunedì 18 maggio 2015

Vedere dentro un’opera d’arte grazie al grafene.


Fonte: Euronews
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Julián López Gómez, euronews: “Come vedere ciò che è invisibile in un oggetto d’arte, in modo preciso e non invasivo?”.
I ricercatori dell’Università di Oviedo, nel nord della Spagna, sono convinti di avere trovato la risposta grazie al grafene: “Il grafene agisce come un moltiplicatore di frequenza – spiega Samuel Ver Hoeye, esperto di telecomunicazioni – Partendo da frequenze basse, genera segnali ad alta frequenza in modo relativamente facile. Con il grafene, possiamo effettuare un’analisi approfondita dell’opera, identificando la composizione chimica dei materiali”.
Le immagini ottenute con gli scanner al grafene vengono poi elaborate e immesse in uno scanner 3D ad alta risoluzione per generare modelli grafici tridimensionali che rivelano i segreti contenuti nell’opera originale.
“Ciò che vediamo è il colore reale dell’opera, che viene virtualmente illuminato e registrato – sostiene Yannick Francken, informatico presso 4DDynamics – Tecnicamente, l’aspetto più difficile è combinare le diverse scansioni: queste devono essere allineate automaticamente. Se il risultato non è perfetto, con un margine di accuratezza di 0,2 millimetri, ne va della possibilità di ricostruire i colori”.
Lo scanner nasce dal progetto di ricerca europeo Insidde ed è stato ideato per studiare sia gli oggetti tridimensionali che le opere pittoriche con superfice piatta.
Una versatilità che potrebbe essere molto apprezzata da conservatori e restauratori d’arte, sostiene Javier Gutiérrez Meana, esperto di telecomunicazioni e coordinatore del progetto: “Gli scanner con cui vengono abitualmente studiate le opere d’arte sono molto costosi. La nostra tecnologia è molto più economica: si tratta di uno scanner leggero e compatto, che si può trasportare facilmente in musei e laboratori”.
Il Museo di Belle Arti delle Asturie ha messo a disposizione dei ricercatori diverse opere sulle quali testare lo scanner.
Le prove effettuate su alcuni dei pezzi più importanti delle collezione museale ha dato risultati che i ricercatori ritengono incoraggianti.
Marta Flórez Igual, conservatrice museale: “Possiamo scoprire quanto è spesso lo smalto o quanti sono gli strati di colore. Possiamo identificare eventuali disegni preparatori sotto il dipinto e capire come sono stati realizzati. Stiamo anche cercando di capire se lo scanner può identificare i diversi materiali nel dipinto, come smalti, fissativi e pigmenti”.
Julián López Gómez, euronews: “Come e con quali altre tecnologie potrà essere impiegato il prodotto di queste ricerche?”
I dati ottenuti con lo scanner al grafene alimentano un’applicazione di Realtà Aumentata per smartphone.
Uno strumento che offrirà ai visitatori del museo un’esperienza più completa a approfondita delle opere esposte.
“Questa applicazione permetterà agli utenti di vedere all’interno del dipinto – spiega Javier Gutiérrez Meana – In questa tela, ad esempio, abbiamo scoperto un misterioso numero 34 sotto gli strati di colore. Abbiamo anche scoperto che, in origine, uno dei mantelli era verde”.
I ricercatori ritengono che lo scanner al grafene e le sue applicazioni potranno essere commercializzate nell’arco dei prossimi cinque anni.

Ottenuta una memoria digitale che imita quella del cervello umano: Immagazzina simultaneamente informazioni diverse.

Fonte: ANSA Scienze
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E' stata ottenuta un'unità di memoria che sa imitare quella umana, immagazzinando simultaneamente un grande numero di informazioni. Descritta sulla rivista Advanced Functional Materials, l'unità di memoria è 10.000 volte più sottile di un capello umano ed è stata realizzata in Australia, presso Università di Tecnologia di Melbourne (Rmit). Per i ricercatori che l'hanno ottenuta, coordinati da Hussein Nili, potrebbe segnare un notevole balzo in avanti verso la costruzione in laboratorio di reti di memoria artificiale.

"Lo sviluppo di queste cellule di nanomemoria - ha osservato è un prerequisito per costruire reti di neuroni artificiali a un livello di performance e di funzionalità pari alle loro controparti biologiche". Si tratta, quindi, di uno dei primi passi verso la possibilità di costruire in laboratorio una sorta di 'cervello bionico' che potrebbe aprire la strada a nuove cure per malattie neurologiche come l'Alzheimer e il Parkinson. truzione in laboratorio di reti di memoria artificiale.

A differenza delle memorie digitali attuali che, come le chiavette Usb, immagazzinano dati registrandoli in una sequenza binaria di zero e uno, la nuova unità di memoria conserva informazioni in stati multipli in modo più flessibile, molto simile a quello in cui il cervello umano organizza i ricordi a lungo termine. Per un altro dei ricercatori, Sharath Sriram, ''è quanto di più vicino abbiamo ad un sistema simile al cervello umano, con una memoria che impara e immagazzina informazioni in modo analogico, e sa recuperarle velocemente''. Il cervello umano, prosegue, ''è un complesso computer analogico che si evolve sulla base delle esperienze: una funzione, questa, che finora non era ancora stata riprodotta in modo adeguato nel mondo digitale''.

sabato 16 maggio 2015

Le impronte digitali smascherano i consumatori di cocaina.

Fonte: ANSA Scienze 
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Basta un'impronta digitale per smascherare i consumatori di cocaina: questo è possibile grazie ad un nuovo sistema di analisi in grado di riconoscere specifiche sostanze emesse dalla pelle dei polpastrelli dopo che l'organismo ha metabolizzato la droga. I risultati non possono essere falsificati e permettono in un colpo solo di scoprire il consumatore di cocaina identificandolo.

Le tecnica di indagine è stata messa a punto da un gruppo di ricercatori britannici guidati dall'Università di Surrey in collaborazione con gli esperti dell'Istituto forense dei Paesi Bassi. Nel loro studio, pubblicato sulla rivista Analyst, affermano che in futuro la tecnologia necessaria per l'esame potrà essere miniaturizzata in modo da sviluppare un test anti-droga portatile.

''Quando una persona assume cocaina- spiega la coordinatrice dello studio, Melanie Bailey - il corpo metabolizza la droga ed emette tracce di benzoilecgonina e metilecgonina che rimangono nelle impronte digitali''. I ricercatori hanno provato a rilevare questi residui nelle impronte di alcuni pazienti tossicodipendenti usando una tecnica di analisi chimica chiamata spettrometria di massa: per verificarne l'attendibilità, i risultati sono stati poi confrontati con quelli ottenuti grazie al classico test della saliva.

''La bellezza di questo test sta nel fatto che non è invasivo, è più igienico dei tradizionali esami di sangue e saliva e soprattutto non può essere falsificato'', precisa Bailey. Al momento le grandi dimensioni dei macchinari necessari alla spettrometria di massa rappresentano un ostacolo all'impiego su larga scala di questa tecnica, ''ma molte aziende stanno provando a miniaturizzarli e in futuro - conclude la ricercatrice - sarà possibile avere una nuova generazione di test antidroga portatili''.