martedì 24 febbraio 2015

Fibre per l'elettronica indossabile, dello spessore di 100 µm (micron).

Fonte: ANSA Scienze
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Microchip e celle solari potrebbero presto essere integrati direttamente negli abiti grazie ad una nuova fibra prodotta da una speciale 'alchimia' hi-tech sviluppata tra gli Usa e Singapore grazie ad una ricerca coordinata dal Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Cambridge.

Le fibre multifunzionali prodotte finora combinavano più materiali che, anche una volta uniti, mantenevano intatte e distinte le loro proprietà.
La nuova tecnica, illustrata sulla rivista Nature Communications, ha permesso invece per la prima volta di unire due materiali comuni, come l'alluminio e la silice del vetro, per creare una fibra con un 'cuore' di puro silicio: una vera e propria alchimia, che ha permesso di trasformare due materiali a basso costo nel prezioso materiale di cui sono fatti i chip e le celle solari per il fotovoltaico.

Il segreto sta nell'alta temperatura a cui viene fatta avvenire la reazione. A 2'200 gradi Celsius, l'alluminio reagisce con la silice (biossido di silicio): la reazione chimica produce puro silicio, che va a concentrarsi nel cuore della fibra, e ossido di alluminio, che si deposita intorno formando un sottile strato metallico.

''Vogliamo usare questa tecnica per generare non solo un cuore di silicio, ma anche di altri materiali'', spiega il ricercatore Chong Hou. L'obiettivo finale è quello di aprire ad una nuova generazione di dispositivi elettronici mobili low-cost che possano essere incorporati nelle fibre usate per tessere abiti: un nuovo passo avanti verso l'elettronica indossabile.

Individuare una bomba, prima che sia pronta ad esplodere.

Fonte: Cordis
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I nuovi sensori possono individuare una bomba, prima che sia pronta ad esplodere. Il progetto BONAS ha sviluppato dei dispositivi per il rilevamento anticipato con sensori chimici per individuare gli esplosivi.
Gli ordigni esplosivi improvvisati sono una delle più gravi minacce alla sicurezza in Europa. Ma cosa accadrebbe se fossimo in grado di scoprire questi ordigni persino prima che siano pronti a detonare? Il progetto BONAS spera di rendere possibile proprio questo con una gamma di dispositivi per la rilevazione anticipata basati su sensori chimici.

Benché l’Europa venga generalmente considerata un posto sicuro dove vivere, una serie di attacchi isolati nel corso dell’ultimo decennio hanno fatto salire il terrorismo ai primi posti dell’agenda UE per la sicurezza. L’attentato di Londra nel 2005, l’esplosione dell’automobile a Oslo nel 2011 e gli attacchi di Al Qaeda sulle linee ferroviarie a Madrid nel 2004 parlano da soli: terroristi armati con ordigni esplosivi improvvisati possono colpire in qualsiasi momento. Sono quindi necessarie nuove tecnologie per trovare questi ordigni prima che mettano a rischio le vite dei cittadini dell’UE.

Il progetto BONAS (“BOmb factory detection by Networks of Advanced Sensors”), finanziato dall’UE, sembra molto promettente per quanto riguarda lo sviluppo di queste nuove tecnologie per la rilevazione anticipata. Con 12 partner specializzati in ricerca, sviluppo di sensori, nanotecnologia, tecnologie wireless e schieramento sul campo, il consorzio mira a sviluppare dei sensori all’avanguardia per rilevare le tracce chimiche lasciate dagli ordigni esplosivi nascosti, sia nell’aria che nell’acqua. Ma la vera innovazione è rappresentata da quanto a monte essi riescono a svolgere il loro lavoro. Secondo il coordinatore del progetto Antonio Palucci dell’ENEA (Agenzia nazionale italiana per le nuove tecnologie), i sensori sono in grado di rilevare i precursori degli esplosivi persino prima che siano trasformati in una bomba artigianale.

In questa intervista esclusiva con la rivista research*eu risultati, Palucci spiega gli obbiettivi del progetto, quanto vicini lui e il suo team sono al raggiungerli e le probabilità che queste nuove tecnologie hanno di essere usate dalle agenzie europee nazionali per la sicurezza.

Qual è l’obbiettivo principale del progetto?

La sicurezza dei cittadini dell’UE rappresenta una delle principali preoccupazioni della società. Questo è un risultato degli inattesi attacchi terroristici o eventi criminali che hanno portato a esplosioni e hanno lasciato la gente profondamente sconcertata, come ad esempio ciò che accadde in Norvegia nel 2011.

La CE ha adottato varie misure per contrastare e prevenire questi eventi con degli strumenti sociali e tecnologici. Ora è molto più difficile e dispendioso in termini di tempo raccogliere, costruire e configurare un “ordigno esplosivo improvvisato” (IED - improvised explosive device) finale quando si pianifica un atto terroristico e/o criminale.

Il progetto BONAS sta facendo avanzare questi strumenti. Abbiamo sviluppato nuovi sensori per il rilevamento non solo di composti esplosivi nascosti ma anche dei precursori necessari alla loro preparazione. Tutti questi sensori sono collegati mediante una rete wireless, che rende più facile ed efficace la loro gestione. Inoltre, abbiamo inventato una strategia da applicare sul posto allo scopo di supportare i servizi di intelligence nella scoperta di sospette attività illegali.

Quali sono le differenze e le similitudini tra la vostra tecnologia e i sistemi di rilevamento esistenti? Quali sono le caratteristiche più innovative?

Abbiamo applicato cinque tecnologie per affrontare il rilevamento dei precursori in stati differenti: liquido, particelle e vapore. Attualmente non sono disponibili sensori specifici per il rilevamento dei precursori, quindi le nostre soluzioni tecnologiche sono state create appositamente per questo scopo. In particolare, alcune tecnologie come ad esempio il lidar (rilevamento laser a distanza di emissioni di vapore) e QEPAS (rilevamento laser in situ a cascata quantica delle emissioni di vapore) sono state messe a punto per rilevare molecole specifiche emesse nella fase di preparazione.

Abbiamo migliorato dei sensori elettrochimici integrando degli elettrodi multipli per il rilvamento di sostanze anomale rilasciate nelle acque di scarico. Inoltre, abbiamo accoppiato un sensore Raman portatile con un campionatore di particelle che è a sua volta equipaggiato con una superficie di metallo nanostrutturata potenziata allo scopo di aumentare la capacità di rilevamento. Concretamente, questa tecnica utilizza una tecnologia laser per identificare le impronte digitali chimiche degli esplosivi nell’aria e potrebbe quindi inviare un allarme quando le concentrazioni raggiungono una determinata soglia.

Quale potrebbe essere una situazione tipica in cui si utilizzano i sensori wireless?

La strategia prevista per distribuire i sensori wireless include l’utilizzo della rete delle tubature fognarie per la copertura estesa di un quartiere. A fianco del rilevamento a distanza (che avviene a distanze maggiori dalle persone e dai beni fondamentali allo scopo di ridurre il rischio di gravi danni), i sensori possono essere schierati anche in situ. Tutti i sensori potrebbero essere mimetizzati e schierati attorno all’oggetto sospetto.

Quali sono state le principali difficoltà che avete dovuto affrontare durante il progetto e come le avete risolte?

La principale difficoltà è stata quella di accoppiare il campionatore con i sensori. Le soluzioni meccaniche e tecniche sono state concordate con i partner dopo diversi test.

A che punto siete con lo studio di fattibilità? Questa tecnologia soddisfa le vostre aspettative iniziali?

Lo studio di fattibilità è stato completato e sono orgoglioso di affermare che siamo riusciti a soddisfare i requisiti iniziali.

Il progetto si sta avvicinando alla sua conclusione. Ritiene che la produzione di massa sia una prospettiva realistica?

La rete di sensori è già stata testata in due campagne sul campo. La prima nel mese di giugno del 2014 all’aeroporto militare di Pratica di Mare (Roma, Italia) e nel mese di settembre al complesso FOI (Agenzia svedese di ricerca per la difesa) vicino Stoccolma, congiuntamente al progetto EMPHASYS.

Naturalmente, a causa della natura specifica dell’impiego (rilevamento precursori, ricordando che la lista è riservata), una vera produzione di massa non è realistica per tutti i sensori. Ma lo spettrometro Raman portatile è stato recentemente lanciato sul mercato dalla nostra PMI partner.

Il vostro progetto sta suscitando un interesse da parte dei governi in Europa o all’estero?

Diverse agenzie italiane per le indagini forensi (Polizia Scientifica, Carabinieri e Aeronautica Militare) hanno già espresso un forte interesse. Anche il FOI è entusiasta delle nostre soluzioni.

Per ulteriori informazioni, visitare:

BONAS
http://bonas.tekever.com

lunedì 9 febbraio 2015

Che cos'è un plasma ultrafreddo?

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I vapori atomici raffreddati con i laser, possono essere foto-ionizzati per formare dei plasmi a temperature fino a 1 kelvin. Ciò potrebbe consentire lo studio di plasmi neutri molto particolari, con proprietà liquide e anche cristalline.
Il plasma, il più comune stato della materia nell’universo, copre un’incredibile range di parametri, da una densità di 103 cm-3 e temperature di poche centinaia di kelvin nell’aurora della ionosfera terrestre, fino ad una densità di 1027 cm-3 e una temperatura di 107 kelvin, nel nucleo del Sole. Con gli strumenti di fisica atomica e le tecniche di raffreddamento laser, oggi è possibile creare plasmi neutri, a temperature fino a 1 kelvin (dunque molto basse; 1°K corrisponde a -272,15° C). Poter disporre di questo tipo di plasmi in un laboratorio, può aiutarci a comprendere meglio gli interni dei grandi pianeti e delle nane bianche, nonché a sondare nuovi stati della materia ed effetti non ordinari liquido-cristallini, nei cosiddetti plasmi fortemente accoppiati. I plasmi ultrafreddi sono stati creati in diversi sistemi atomici; inclusi Xeno, Rubidio, Cesio, Stronzio, e Calcio (essenzialmente qualsiasi atomo che può essere facilmente raffreddato con un laser e che abbia una conveniente lunghezza d’onda laser per la fotoionizzazione. Mentre molti esperimenti con i plasmi convenzionali (caldi) tendono a richiedere grandi impianti, gli esperimenti con plasmi ultrafreddi assomigliano molto di più a quelli di fisica atomica (fisica “da tavolo” con una piccola camera a vuoto e vari strumenti laser); ed infatti vengono quasi sempre condotti da gruppi di ricerca specializzati in fisica atomica.
A causa della natura piuttosto delicata di questi plasmi (essi esistono a bassa temperatura e contengono solo ioni; inoltre gli esperimenti con questi plasmi debbono essere eseguiti con camere a vuoto), la maggior parte delle sonde utilizzate nella fisica dei plasmi tradizionali (caldi), risultano essere troppo invasive (ad esempio, degli elettrodi posti al centro del plasma; con i plasmi ultrafreddi, questa strategia è troppo invasiva e non va bene). I ricercatori nel campo dei plasmi ultrafreddi, misurano gli elettroni o gli ioni che fuggono dal plasma (spontaneamente o in modo indotto), oppure utilizzano la spettroscopia laser e tecniche di imaging, per gli ioni con transizioni otticamente convenienti.