domenica 30 giugno 2013

Per dimagrire ...cambia cucchiaio!

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State cercando di perdere peso? Invece di comprare prodotti a basso contenuto di grassi, provate ad usare un cucchiaio diverso. Uno studio, condotto da Vanessa Harrar della University of Oxford e pubblicato su Flavour, mostra infatti come il tipo di posate utilizzate abbia un grande impatto sul sapore degli alimenti che consumiamo. E quindi, per estenzione, sulla quantità che ne assumiamo.
I ricercatori hanno eseguito tre esperimenti per appurare se effettivamente il cibo avesse un sapore diverso cambiando le proprietà visive e tattili di alcune posate di plastica. Variandone indipendentemente peso, colore, dimensione e forma, gli scienziati hanno stimato l’impatto di questi cambiamenti grazie a giudizi dei partecipanti riguardo la dolcezza, la sapidità (intesa come contenuto in sale) e in generale sulla qualità del cibo.
In tutti e tre gli esperimenti, ai partecipanti veniva fornito del semplice yogurt greco o del formaggio, ma le posate utilizzate erano sempre diverse: nel primo esperimento, essi avevano pesi diversi, nel secondo colori diversi, nel terzo forme diverse.
I risultati sono stati sorprendenti: per esempio lo yogurt era percepito come più denso e più costoso se mangiato da un cucchiaio leggero di plastica, rispetto a quello consumato da cucchiai artificialmente appesantiti e la dimensione del cucchiaio e il suo peso influenzavano anche la dolcezza percepita (come forse è logico aspettarsi, considerando che cucchiai piccoli e più leggeri sono spesso usati per cibi dolci, come lo zucchero). Il sapore dello yogurt era inoltre influenzato dal colore (sia della posata che dello yogurt stesso, indicando un effetto dei contrasti più che del colore in sè), ma lo stesso esperimento ripetuto su soggetti bendati non ha invece mostrato differenze significative. Infine, anche la forma della posata faceva la differenza: il cibo appariva più salato se assaggiato da un coltello anziché da un cucchiaio, una forchetta o uno stuzzicadenti. 
Questi dati dimostrano come le proprietà fisiche delle posate possano decisamente influire sulla percezione del gusto di cibi consumati quotidianamente: questo accadrebbe perché, quando messo di fronte a qualcosa di inaspettato, come il colore e il peso di una posata di plastica diverso da quello che immaginiamo, il nostro cervello trasforma l’esperienza inattesa in qualcosa di "spiacevole", che influenza le altre sensazioni. "Come percepiamo il cibo", spiegano al riguardo gli autori, "è un'esperienza multisensoriale che coinvolge il gusto, la sensazione degli alimenti nella nostra bocca, l'aroma, e l'esperienza visiva. Anche prima di mettere il cibo nelle nostre bocche i nostri cervelli hanno elaborato un giudizio su di esso, che influenza l'esperienza nel suo complesso". Gli scienziati stanno ora analizzando le possibili applicazioni di questa scoperta, soprattutto per quanto riguarda la possibilità di modificare le abitudini alimentari delle persone che ne hanno bisogno. 
Riferimenti: Flavour doi:10.1186/2044-7248-2-21
Credits immagine: skinnylaminx/Flickr

sabato 29 giugno 2013

L'Essere e il Nulla...

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I due alieni, Aleph ed Alem, si spinsero con la loro astronave sino ai confini dell’Universo …e ad un certo punto entrarono in uno spazio ai loro occhi assai misterioso. Tutto, attorno alla loro astronave, era pervaso da un bianco candido che si estendeva in ogni direzione …ma siccome non vi era alcun oggetto, pianeta o altro corpo celeste da poter osservare, non era neppure possibile stabilire in che modo ed entro quali distanze,  lo spazio si estendeva attorno a loro. Potevano solo supporre che tale condizione dello spazio in cui si trovavano, avesse un’estensione infinita. La percezione del movimento non era possibile per due semplici motivi: la totale assenza di gravità e la totale assenza di oggetti cosmici (sparsi un po’ ovunque), in grado di dar loro il senso dell’estensione dello spazio.  I due alieni, dopo qualche minuto, iniziarono ad esporre i loro pensieri…
“E così abbiamo scoperto che vi è il nulla al di fuori dell’Universo; dunque esso, probabilmente, non è infinito come abbiamo sempre creduto. Bene, bene, bene …dunque è la luce bianca il colore del nulla”.
“Luce? …e chi ti dice che si tratti proprio di luce?...la luce è composta da fotoni  …la presenza di onde elettromagnetiche non rappresenta di certo il nulla! Io avevo sempre creduto che fosse il nero assai cupo e profondo, il colore del nulla…”
“E se la percezione del colore fosse solo il frutto della nostra immaginazione? D'altronde stiamo parlando del nulla …ammesso che sia realmente il nulla, ciò che stiamo osservando”.
“No, non stiamo osservando il nulla …il nulla dovrebbe essere fatto solo di buio pesto!”
“Ne sei proprio convinto?”
“Bè, diciamo che ne sono convinto al 98%...”
“In ogni caso noi stiamo osservando qualcosa, ovvero uno spazio vuoto, a prescindere dal colore che esso abbia …poiché gli strumenti di bordo non rilevano alcuna radiazione esterna all’astronave, di alcun tipo. Persino il rilevatore di particelle virtuali, non rileva nulla; e ciò è molto strano, poiché teoricamente non potrebbe esistere alcuno spazio …vuoto di campo. Ah! ...no, un momento ...sta cominciando a rilevarle proprio in questo momento!"
“Già, ma lo spazio che stiamo osservando ha un’estensione, almeno in tre dimensioni …altrimenti noi non potremmo osservarlo; anzi, saremmo scomparsi entrambi in un battito di ciglia! E i nostri corpi si sarebbero trasformati in energia pura…”
“Energia pura? …e dove avrebbe dovuto confluire tale energia, in assenza di uno spazio atto a contenerla?”
“Probabilmente in un’altra dimensione…”
“Già …ma pur sempre in un altro spazio, magari a sei dimensioni,  atto a contenerla. Non c’è spazio senza energia e non c’è energia senza spazio. Sostituisci il termine energia con campo, e la frase sarà sempre la stessa”.
“Dunque, se il nulla è semplicemente assenza di spazio ed energia, ciò significa che tale condizione o sistema di riferimento,  non ammette osservatori nel suo interno?”
“Esattamente! Ma la domanda fondamentale comunque è questa: Il NULLA, può ammettere degli osservatori al suo esterno?”
“Ma cosa stai dicendo? Ragiona! L’assenza di spazio, ovvero il NULLA, non può essere tangente ad alcun tipo di spazio; una condizione non ammette l’altra e viceversa. O si ha un’assenza di spazio, ovvero il NULLA senza alcuna estensione, oppure si ha uno spazio con un’estensione necessariamente infinita. L’Universo quindi deve essere per forza di cose infinito! E in ultima analisi quindi, ciò che stiamo osservando non può essere il NULLA!” 
“Ma se il NULLA non ha un’estensione, esso può essere presente sotto forma di infinite parti nello spazio in cui viviamo…o mi sbaglio?”
“Anche se potrà sembrarti strano, ti sbagli …una condizione non ammette l’altra, ricordalo. Nel momento in cui pronunciamo la parola NULLA, abbiamo già creato una particella di Informazione …che a sua volta avrà già definito un determinato spazio, il quale logicamente avrà un’estensione. La stessa cosa accade se proviamo ad immaginarlo, il NULLA …in tal caso la nostra mente produrrà una particella di Informazione, che ovviamente andrà anch’essa a definire uno spazio con una propria estensione, anche se infinitamente piccolo e dunque non osservabile”.
“Ma allora anche la nostra immaginazione è in grado di creare la Realtà?”
“Esattamente! Ricordalo sempre: il NULLA non ammette osservatori, né al suo interno e neppure al suo esterno. Esso esiste solo se non provi ad immaginarlo, se non provi a descriverlo, se non provi a quantificarlo …se dall’Universo scomparissero tutte le entità pensanti (biologiche o non biologiche), in grado di immaginare il NULLA, forse esso inghiottirebbe tutto in un solo istante. Ma considerando il fatto che l’Universo esiste da molto prima della comparsa di tutte le forme di vita pensanti , sia sulla Terra che su altri pianeti di altre galassie, ciò significa che da qualche parte, in una dimensione a noi sconosciuta, un’Entità Pensante debba aver immaginato il NULLA …e da quella piccola particella di Informazione che ne è scaturita,  si sia in seguito originato l’intero Universo. D’altronde, l’incontro tra una particella di Informazione e il NULLA  assoluto, è una condizione insostenibile …per cui tutto viene inesorabilmente trasformato in Informazione, attraverso un Big Bang, dove spazio e tempo vengono creati in un solo istante …continuando ad estendersi all’infinito, senza alcuna sosta, senza alcuna contrazione …il NULLA d’altronde non lo consentirebbe. In questo preciso istante, ai confini dell’Universo, della materia continua a crearsi dal NULLA. Secondo dopo secondo, l’Universo continua ad espandersi …e continuerà a farlo per un tempo infinito. L’Entità Pensante lo ha creato immaginando semplicemente il NULLA …ma poi non poteva che perderne il controllo”.
Fausto Intilla, 29 giugno 2013.

mercoledì 26 giugno 2013

Nuova tecnica di vaccinazione, utilizza nanoparticelle d'oro che imitano i virus.

Un vaccino basato su nanoparticelle d'oro che imitano un virus (fonte: EPRUI)
Fonte: ANSA Scienze
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Una nuova tecnica di vaccinazione utilizza nanoparticelle d'oro che imitano i virus. Descritta sulla rivista Nanotechnology, la tecnica si deve a un gruppo di ricerca della Vanderbilt University a Nashville, in Tennessee, ed é stata testata in laboratorio per neutralizzare il virus respiratorio sinciziale (Rsv), la causa principale di infezioni respiratorie nei bambini e anziani.

Gli effetti negativi del virus Rsv vengono, in parte, da una specifica proteina, chiamata proteina F, che riveste la superficie del virus. La proteina permette al virus di entrare nella sostanza acquosa e viscosa presente nelle cellule (il citoplasma) e fa in modo che le cellule aderiscano fra loro, rendendo il virus più difficile da eliminare. Ed è proprio contro questa proteina che si è concentrata la nuova tecnica di vaccinazione.

A differenza degli approcci tradizionali, che utilizzano come vaccini virus morti o inattivi, il nuovo vaccino si basa su minuscoli tubi d'oro, larghi appena 21 nanometri e lunghi 57 nanometri, di forma e dimensione simile al virus Rsv.
Per renderle simili al virus, le nanobacchette d'oro sono state poi rivestite con la proteina F e sono state testate sulle cellule immunitarie prelevate da campioni di sangue di persone adulte. In particolare sono state testate sulle cellule dendritiche che funzionano come 'spie' del sistema immunitario: prendono informazioni dai virus, come in questo caso, si informano della presenza della proteina F e danno queste informazioni alle cellule del sistema immunitario, come le cellule T, che possono organizzare un'azione contro il virus. Una volta rivestite con la proteina F, le proteine sono state aggiunte a un campione di cellule dendritiche hanno stimolato la proliferazione delle cellule T, dimostrando che riescono a stimolare una risposta immunitaria. I test hanno anche mostrato che le particelle non sono tossiche per le cellule umane, aumentando il loro potenziale applicativo nei vaccini.

Una “pistola” in grado di sparare fasci di positroni, per studiare l'antimateria.

Fonte: Gaianews.it
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Un gruppo di ricerca internazionale che fa capo all’Università del Michigan ha costruito una vera e propria “pistola” in grado di sparare fasci di positroni ricreando quelle stesse condizioni che, negli acceleratori di particelle di più grandi dimensioni, consentono di studiare l’antimateria. L’articolo, pubblicato nella rivista Physical Review Letters, è un significativo passo avanti in fisica delle alte energie, e viene reso pubblico poco dopo la notizia del mini acceleratore comandabile da un tablet: un gruppo di ricercatori dell’Università di Austin, in Texas, ha pubblicato un articolo sulla rivista Nature Communication in cui si descrive nel dettaglio questa nuova tecnologia.
Perché sono così importanti i positroni? I positroni sono il gemello opposto degli elettroni. Oltre ad essere generati nelle collisioni degli acceleratori come il Large Hadron Collider di Ginevra e quello del Lawrence Livermore National Laboratory che ha creato positroni con un fascio laser estremamente potente in un minuscolo disco d’oro, queste particelle sono così importanti perché ne esistono due fonti naturali, difficilmente osservabili in modo diretto: i buchi neri e le pulsar.
Studiare queste antiparticelle significa, infatti, comprendere meglio questi corpi estremi che popolano il nostro Universo e, insieme, l’evoluzione nel tempo dell’Universo stesso. Vediamo meglio in cosa consiste questo nuovo esperimento  (All'inizio di questo articolo, trovate uno schema che gli autori hanno usato per spiegarne i dettagli: credit arxiv.org/abs/1304.5379).
I ricercatori hanno costruito un dispositivo, non più lungo di un metro, che è in grado di generare brevi sequenze di entrambi – elettroni e positroni – ricreando una situazione molto simile  a quella che caratterizza le emissioni di buchi neri e pulsar. Per giungere a questo risultato gli scienziati hanno sparato un fascio laser in un campione di elio inerte provocando la creazione di un flusso di elettroni che si muovono a velocità molto elevata. Gli elettroni sono poi stati convogliati verso un foglio molto sottile di metallo i cui atomi sono stati distrutti; a queste collisioni segue un flusso di elettroni e positroni che vengono isolati e separati mediante magneti.
Ogni esplosione di questa pistola ai positroni dura appena 30 femtosecondi, ma ognuna di esse genera quadrilioni di positroni, un livello di densità paragonabile a quella prodotta al CERN. I ricercatori suggeriscono che il loro dispositivo potrebbe essere usato per simulare le correnti a getto dei buchi neri e/o dell pulsar, e confidano nella possibilità di trovare alcune risposte: i positroni sono le uniche particelle che si generano in queste condizioni? In che modo le particelle  interagiscono con l’ambiente in cui vengono riversate? Cosa ci dicono queste emissioni sulla natura dei buchi neri e delle pulsar? Non resta che attendere.

martedì 25 giugno 2013

"Fisica dell'Invisibilità. Metamateriali e tecnologie del futuro" (2013); ebook,pp.129, costo: 5 €.

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Attenzione: l'ebook NON viene spedito automaticamente, bensì entro 24 ore a partire dal momento in cui viene effettuato l'acquisto tramite Paypal.
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Con questo breve saggio sui modelli, i principi e le vecchie e nuove leggi fisiche che ruotano attorno al mondo dei metamateriali e a tutto ciò che ancora non è ben compreso nel campo della sperimentazione scientifica, Intilla ha voluto semplicemente completare una sorta di trilogia (Fisica dell’Informazione/L’Esperimento di Afshar/Fisica dell’ Invisibilità) dedicata alla parte più concreta, pratica e razionale di quella che oggi viene comunemente definita come “scienza di confine”; con l’unico scopo di dare al lettore appassionato di tematiche scientifiche sempre calde e in continua evoluzione, quell’input fondamentale per poter scegliere la propria linea di approfondimento su argomenti soggettivamente ritenuti più interessanti o meno interessanti. Si tratta dunque di un libro a carattere introduttivo, divulgativo e idoneo a tutti coloro che vogliano muovere i primi passi verso un campo della fisica che “a pelle” considerano affascinante e dunque degno almeno di uno sguardo. Il libro è rivolto principalmente a studenti di liceo e istituti superiori di indirizzo scientifico.

VERSIONE CARTACEA (IBS), Aracne Editrice.

lunedì 24 giugno 2013

Batterie al Litio piccole come granelli di sabbia: realizzate con stampanti 3D.

La minibatteria sviluppata da ricercatori delle universita' di Harvard e Illinois (Fonte: Ke Sun, Teng-Sing Wei, Jennifer A. Lewis, Shen J. Dillon)
Fonte: ANSA Scienze
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Sono state realizzate le prime mini-batterie al litio della dimensione di un granello di sabbia: sono state ottenuta grazie ad una stampante in 3D e potrebbero essere utilizzate in futuro per alimentare dispositivi in campo medico o in quello delle telecomunicazioni. E' questo il risultato di un lavoro congiunto di un gruppo di ricercatori delle universita' di Harvard e dell'Illinois, pubblicato sulla rivista Advanced Materials.

I progressi delle micro e nanotecnologie avevano permesso in questi ultimi anni di realizzare apparecchiature elettroniche altamente miniaturizzate, come microrobot volanti o nanofotocamere, ma i dispositivi di alimentazione non erano ancora riusciti a fare gli stessi passi in avanti, tanto da risultare normalmente piu' grandi degli strumenti stessi.  Per superare questo ostacolo i ricercatori statunitensi si sono avvalsi delle nuove possibilita' offerte dall'impiego delle stampanti in 3D, stampanti analoghe a quelle tradizionali ma che al posto dell'inchiostro utilizzano una sorta di gel che si solidifica molto rapidamente.

Sviluppando nuovi 'gel' con proprieta' chimiche ed elettriche e ugelli in grado di rilasciare un filo di gel piu' sottile di un capello umano, i ricercatori sono riusciti a stampare minibatterie al litio perfettamente funzionanti.  Le minibatterie sono realizzate depositando strati alternati di inchiostro ricco di ossidi di litio (anodo) e uno strato 'normale' (catodo) e poi completate interlacciando anodo e catodo all'interno di un contenitore con una soluzione elettrolitica.

Le prestazioni di queste batterie, hanno spiegato i ricercatori, risultano essere perfettamente paragonabili a quelle in commercio per le stesse funzioni ma sono realizzate in scala molto piu' piccola. La nuova tecnologia di produzione delle minibatterie potrebbe allargare ulteriormente le possibilita' offerte dalla miniaturizzazione di molti tipi di dispositivi.


martedì 18 giugno 2013

Trapiantare una testa su un corpo nuovo sarà possibile fra due anni: Il progetto è chiamato HEAVEN/GEMINI.

SI ...PUÒ ...FARE!!!

Fonte: Gaianews.it
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L’operazione potrebbe salvare la vita o cambiarla a coloro che hanno gravi malattie degenerative o ai tetraplegici. Ma apre degli scenari inquietanti ponendo interrogativi etici di non poca importanza: poter trapiantare la testa significherebbe creare una possibilità di allungare la vita “cambiando” il corpo quando è troppo invecchiato.
Sergio Canavero non è nuovo all’opinione pubblica e alla stampa. Nel 2008 infatti venne alla ribalta perchè risveglio una ragazza in stato vegetativo a causa di un incidente dal 2006. Il dottore riuscì nell’impresa grazie all’elettrostimolazione. Oggi il dottore dichiara: “Lo ribadisco e sottoscrivo. Tra un paio di anni saremo in grado di effettuare un trapianto di testa”.
Il progetto del neurochirurgo è stato pubblicato su Surgical Neurology International.
Canavero spiega che il collegamento nel midollo spinale, la parte fondamentale dell’impresa, sarà eseguito con speciali materiali chimici, chiamati fusogeni o sigillanti di membrana, che riescono a riprestinare la funzionalità di una fibra nervosa tagliata. Le sperimentazioni in proposito vanno avanti dal 1999 e i risultati sono incoraggianti.

Ma come funzionerebbe? Si tratta in sostanza di unire la testa di un ricevente con il corpo di un donatore che potrebbe essere deceduto a causa di un trauma cranico senza avere lesioni agli organi interni.
Il progetto è chiamato HEAVEN/GEMINI, ovvero Head Anastomosis Venture with Cord Fusion.
Ma chi è il donatore del corpo e il candidato ideale per riceverlo? “Il primo è un individuo che ha purtroppo perso la vita per un trauma cranico puro, senza lesioni sostanziali a carico degli altri organi”, spiega Canavero. “O chi ha subito un ictus fatale. Il ricevente, invece, può essere un malato affetto gravemente da una malattia neuromuscolare degenerativa. Ma anche un soggetto tetraplegico potrebbe candidarsi”.

Il progetto però, Canavero non lo nega, apre le porte alla possibilità di allungare la vita. E il professore infatti ha dichiarato:”La società dovrebbe già cominciare a pensare al modo per regolamentare questa procedura”, riflette Canavero, “prima che un intervento rivoluzionario, progettato per fornire una terapia radicale a malati profondamente sofferenti, diventi una pratica spregiudicata nelle mani di chirurghi senza scrupoli”.
Ma fra i neurochirurghi non mancano gli scettici. Giulio Maira, direttore dell’istituto di Neurochirurgia dell’università Cattolica, ha dichiarato: “Ad oggi è pura fantascienza. Sono molto scettico soprattutto perchè siamo lontanissimi da un trapianto di midollo che funzioni. Ci sono problemi tecnici enormi – commenta Maira – soprattutto perchè è complicatissimo trapiantare un midollo: abbiamo difficoltà enormi anche in casi di trauma midollare, figuriamoci con un trapianto di testa. Secondo me non si dovrebbero alimentare illusioni, le notizie scientifiche vanno date con correttezza e chiarezza, senza annunci choc privi di riscontri”.

lunedì 17 giugno 2013

Robot volanti si librano nell'aria, progettati per salvare vite umane.

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Attaccare una piattaforma a un edificio molto alto per evacuare delle persone in caso di emergenza, o creare un luogo di atterraggio per un aereo su un terreno irregolare, queste sono solo due casi in cui i robot volanti potrebbero avere un grande impatto, potenzialmente salvando delle vite umane.

Il team ARCAS ("Aerial Robotics Cooperative Assembly System") ha avviato da 18 mesi un progetto di 4 anni per sviluppare delle macchine di questo tipo. Il team sta lavorando sul primo sistema cooperativo in assoluto di robot che volano liberamente in grado di assemblare e costruire strutture in luoghi inaccessibili, anche nello spazio. Il progetto è finanziato nell'ambito del tema "Tecnologie dell'informazione e della comunicazione" del Settimo programma quadro (7° PQ) dell'UE, avendo ricevuto 6,15 milioni di euro dalla Commissione europea.

Per riuscire a far sollevare i robot e a farli volare sono necessari dei progressi in cinque aree chiave: gli elicotteri o sistemi quadrirotori stessi, controllo del movimento per trasporto e montaggio; percezione del robot; cooperazione tra robot multipli; e strumenti per permettere l'intervento umano.

Il team ha già sviluppato dei prototipi. Il primo è un elicottero quadrirotore con un braccio robotico e una "mano" progettata per afferrare oggetti cilindrici. Una priorità è stata quella di mantenere il peso del braccio il più basso possibile; il risultato è un impatto il più piccolo possibile sulla stabilità del quadrirotore.

Il secondo prototipo è un elicottero elettrico con installata una pinza montata su un braccio in grado di piegarsi in qualsiasi direzione.

Ogni robot sarà dotato di un manipolatore robotico in grado di afferrare oggetti. Il team sta lavorando sulle tecniche di controllo del movimento per questo manipolatore, che devono includere il coordinamento del controllo di robot volanti multipli che afferrano lo stesso oggetto durante un lavoro di costruzione.

La percezione è fondamentale per qualsiasi robot destinato al lavoro. Per i robot di ARCAS, questa comprende riconoscimento del luogo, veloce generazione di modelli 3D, localizzazione e mappatura simultanee da parte di robot aerei multipli, accurato posizionamento 3D e tracciamento in modo che sia possibile guidare le operazioni di assemblaggio, e percezione cooperativa per l'assemblaggio, i robot devono essere in grado di lavorare assieme.

La pianificazione cooperativa garantirà la sicurezza durante l'attività simultanea di robot volanti multipli durante lavori di assemblaggio, smontaggio o controllo, mentre gli operatori umani devono essere in grado di intervenire in questa percezione, pianificazione e controllo autonomi se necessario. Essi faranno questo usando una realtà virtuale aptica, una tecnologia azionata mediante il tatto.

Una volta che concetti, metodologie e algoritmi saranno a posto, essi verranno testati in tre modi diversi. Verranno valutate la manipolazione di base e le funzioni di assemblaggio di quadrirotori autonomi e di un sistema integrato per il posizionamento. Questi test verranno effettuati al chiuso. Dispositivi di manipolazione più progrediti con sensori di forza integrati montati su elicotteri autonomi verranno testati all'aperto. E braccia robotiche multiple verranno usate per simulare oggetti che volano liberamente e che manipolano oggetti nello spazio.

Si prevede che il progetto getti le fondamenta per la progettazione e lo sviluppo di robot volanti che cooperano con varie caratteristiche fisiche che potrebbero essere usati in un'ampia gamma di applicazioni. I partner industriali di ARCAS saranno i primi ad adottare le tecnologie del progetto, fornendo una strada verso la commercializzazione, sia nel campo del controllo che della manutenzione, riparazione, revisione dei satelliti o costruzione di strutture.

Per maggiori informazioni, visitare:

Sito web ARCAS
http://www.arcas-project.eu/

Categoria: Progetti
Fonte: Progetto ARCAS
Documenti di Riferimento: Sulla base di informazioni diffuse dal progetto ARCAS
Codici di Classificazione per Materia: Tecnologia aerospaziale; Applicazioni della tecnologia dell'informazione e della comunica; Robotica

RCN: 35804

sabato 15 giugno 2013

Scoperta una nuova parte dell'occhio: è uno strato spesso solo 15 micron.

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Il suo scopritore, il professor Harminder Dua, oftalmologo alla University of Nottingham, non si è lasciato sfuggire l'occasione. E l'ha chiamato, naturalmente, strato di Dua. Anche perché non capita tutti i giorni di scoprire una parte del corpo umano mai osservata prima: in questo caso, si tratta di uno strato spesso 15 micron che si trova nella parte posteriore della retina. La scoperta, descritta sulla rivista Ophtalmology, "potrebbe migliorare notevolmente l'esito dei trapianti corneali", stando alle parole di Dua.
Gli scienziati hanno iniettato delle bolle d'aria in una cornea per separare tutti gli strati che la compongono e hanno usato un microscopio elettronico per scansionare i sottilissimi livelli. È la procedura normalmente utilizzata nei pazienti che si sottopongono a interventi chirurgici, ed è particolarmente delicata perché lo scoppio di una delle bolle può danneggiare irreversibilmente l'occhio. L'équipe di Dua si è quindi resa conto della presenza di uno strato aggiuntivo rispetto a quelli già noti. "I libri di oftalmologia devono essere riscritti", dice senza falsa modestia lo scopritore. "Da un punto di vista clinico, ci sono molte malattie che colpiscono la parte posteriore della cornea. E pensiamo che la loro insorgenza sia in qualche modo collegata alla presenza di danni nello strato che abbiamo scoperto".
A questo punto, potrebbe essere opportuno cambiare i protocolli chirurgici per rendere più sicuri gli interventi. Secondo Dua, infatti, iniettando le bolle d'aria al di sotto del suo strato, anziché al di sopra come avveniva finora, "il rischio di danni sarebbe notevolmente ridotto grazie alla resistenza di questo livello".
Via: Wired.it
Riferimenti: Ophtalmology doi:10.1016/j.ophtha.2013.01.018
Credits immagine: Guillermo Salinas/Flickr

venerdì 14 giugno 2013

Il primo 'filato' piezoelettrico: Realizzato in Italia, è super sensibile.

Fonte: ANSA Scienze
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Arriva dall'Italia il primo tessuto 'elettrico' filato in grado di produrre energia e sentire la più piccola pressione, anche la semplice caduta di una foglia. Si tratta di un materiale piezoelettrico, che produce elettricità se premuto, realizzato da un gruppo internazionale di ricerca coordinato dall'Istituto di Nanoscienze del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CnrNano) descritto sulla rivista Nature Communications.
E' stato realizzato grazie a uno speciale metodo di 'nanofilatura' e potrebbe trovare numerose applicazioni, dai dispositivi auto-alimentati alle interfacce dei futuri robot umanoidi.

"E' un materiale in grado di generare un segnale elettrico in risposta a una sollecitazione anche molto piccola, come quella indotta da un insetto che si posa sulla superficie, o la caduta di una foglia", ha speigato la coordinatrice della ricerca, Luana Persano.

Ottenuto grazie a un nuovo metodo di 'filatura' su scala nanometrica in grado di creare fasci di fibre ben orientate, il tessuto può trovare impiego in molte applicazioni. "Testato come sensore di pressione, il dispositivo ha fornito misure ultra-sensibili ma - ha proseguito la ricercatrice - integrato in sistemi più complessi ha potenziali applicazioni nel campo dell'elettronica portatile che si interfaccia con il corpo umano, come dispositivi di monitoraggio per la salute ed il wellness, o muscoli artificiali e tessuti ingegnerizzati".
A differenza degli analoghi tessuti piezoelettrici realizzati finora, composti non da nanofibre ma da sottili 'pellicole' molto meno sensibili, quello realizzato dai ricercatori italiani rileva pressioni 10.000 volte inferiori ed è - ha concluso Persano - prodotto con tecnologie a basso costo scalabili su larga area, perciò compatibili con processi industriali''.

mercoledì 12 giugno 2013

Luce verde al successore dell'acceleratore LHC: Si chiama ILC, presentato in Giappone, Europa e Usa.

Ricostruzione grafica del campo prodotto dai superconduttori, nella tecnologia alla base della futura macchina Ilc (fonte: DESY-Amburgo)

E' all'apice della 'carriera' e della fama, soprattutto dopo la scoperta del bosone di Higgs, ma il piu' grande acceleratore di particelle del mondo ha gia' un successore. Ha avuto infatti luce verde la costruzione dell'International Linear Collider (ILC), un acceleratore lineare che avra' il compito di completare e approfondire le scoperte fatte con l'Lhc e, forse, fare i primi passi nel regno della cosiddetta ''nuova fisica''.

Il progetto tecnico, in ben cinque volumi, e' stato pubblicato e presentato in Giappone, a Tokyo, in Svizzera, presso il Cern di Ginevra, e negli Stati Uniti, nel Fermilab di Batavia, vicino Chicago. ''Il rapporto tecnico e' una testimonianza dello sforzo di cooperazione globale che ha portato a progettare una macchina cosi' sofisticata'', ha osservato il presidente del Comitato Internazionale per i futuri acceleratori (Icfa), Pier Oddone. Per il direttore di ricerca dell'Ilc, Sakue Yamada, ''la scoperta del bosone di Higgs con l'Lhc ha reso ancora piu' convincente il progetto dell'Ilc, che potra' studiarne le proprieta' nel dettaglio''.

Il progetto ha coinvolto una squadra internazionale di ricerca che comprende oltre mille fra ricercatori e ingegneri di oltre 100 universita' e laboratori di oltre 20 Paesi. L'Italia partecipa, nell'ambito del Cern, con l'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn).
La nuova macchina e' composta da due acceleratori lineari paralleli, ognuno lungo 31 chilometri, al centro dei quali si scontrano fasci di elettroni e positroni a temperature vicine allo zero assoluto. Sara' una macchina molto potente perche' in essa scorreranno fasci di particelle molto ricchi, ognuno dei quali contiene 20 miliardi di elettroni o positroni concentrati in un'area piu' sottile di un capello umano. Questo significa che potra' produrre un gran numero di collisioni, che avverranno al ritmo di 7.000 al secondo all'energia di 500 miliardi di elettronvolt (500 GeV) e produrranno nuove particelle.

martedì 11 giugno 2013

Scoperto un segreto del ghiaccio: svolta dopo 50 anni.

Fonte: Gaianews.it
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Washington, DC – Usando  nuove tecniche rivoluzionarie, un team guidato da Carnegie Malcolm Guthrie ha fatto una scoperta sorprendente su come il ghiaccio si comporta sotto pressione, cambiando concezioni che risalgono a quasi 50 anni fa. Queste scoperte potrebbero alterare la nostra comprensione di come la molecola di acqua risponda a condizioni che si trovano in profondità nei pianeti e potrebbe avere implicazioni per la scienza dell’ energia. Il  lavoro è pubblicato negli Atti della National Academy of Sciences.
Quando l’acqua si trasforma in ghiaccio, le sue molecole sono legate insieme in un reticolo cristallino costituito da legami di idrogeno. I legami di idrogeno sono molto versatili e, di conseguenza, il ghiaccio cristallino si declina in almeno 16 diverse strutture.
In tutte queste forme di ghiaccio, la semplice molecola H2O è il blocco universale. Tuttavia, nel 1964 è stato previsto che, sotto pressione sufficiente, i legami di idrogeno potrebbero rafforzarsi al punto da rompere la molecola di acqua. La possibilità di osservare direttamente una molecola di acqua dissociata nel ghiaccio è stata oggetto di numerose ricerche negli ultimi 50 anni. A metà degli anni ’90 – diversi team, tra cui un gruppo di Carnegie, ha osservato la transizione utilizzando tecniche spettroscopiche. Tuttavia, queste tecniche sono indirette e potrebbero rivelare soltanto una parte del quadro.
Il metodo più utilizzato è quello di “vedere” gli atomi di idrogeno, o i protoni, direttamente. Questo può essere fatto facendo rimbalzare neutroni dal ghiaccio e poi misurando attentamente come si sono posizionati. Tuttavia, l’applicazione di questa tecnica ad alte pressioni sufficienti per vedere la molecola dell’acqua che si dissocia non era realizzabile in passato. Guthrie ha spiegato che: “si possono raggiungere queste pressioni estreme se i campioni di ghiaccio sono davvero piccoli, ma, purtroppo, questo rende gli atomi di idrogeno molto difficili da vedere.”
La Spallation Neutron Source fu aperta all’ Oak Ridge National Laboratory in Tennessee nel 2006. Con la progettazione di una nuova classe di strumenti che sono stati ottimizzati per sfruttare questo flusso senza pari di neutroni, Guthrie e la sua squadra hanno ottenuto il primo sguardo su atomi di idrogeno nel ghiaccio a pressioni senza precedenti, di oltre 500.000 volte la pressione atmosferica.
“I neutroni oggi ci raccontano una storia che le altre tecniche non potevano raccontarci”, ha detto il dottor Hemley, direttore del Laboratorio di Geofisica della Carnegie. “I risultati indicano che la dissociazione delle molecole di acqua seguono due meccanismi diversi. Alcune molecole cominciano a dissociarsi a pressioni molto basse e attraverso un percorso diverso di quanto previsto in ciò che si pensava a partire dal 1964.”
“I nostri dati dipingono un quadro del tutto nuovo sul ghiaccio,” ha spiegato Guthrie. “Non solo i risultati hanno vaste conseguenze per la comprensione dei legami in H2O, ma le osservazioni potranno supportare una teoria precedentemente proposta sui protoni nel ghiaccio dei pianeti: i protoni potrebbero essere mobili anche quando il ghiaccio rimane solido.”
E questa potrebbe rivelarsi solo l’inizio della scoperta scientifica. Gli esperti hanno sottolineato che essere in grado di ‘vedere’ l’idrogeno con i neutroni non è importante solo per gli studi sul ghiaccio. Si tratta di un progresso tecnico che potrebbe avere applicazioni in campo energetico, ad esempio nella realizzazione dei biocarburanti.