mercoledì 17 giugno 2009

Interpretazione a Molti Mondi: quali sono gli esperimenti per poterla testare?


“Non è tanto il sistema ad essere modificato
dall’osservazione, bensì l’osservatore”.
Hugh Everett III

Nel 1957, quando il fisico americano Hugh Everett III elaborò ed espose per la prima volta al mondo accademico, la sua “Teoria a Molti Mondi”, la maggior parte dei fisici di allora accolse con molto scetticismo (che ben presto si trasformò in vera e propria indifferenza) le idee di quel giovane fisico di 27 anni, che a quei tempi apparivano del tutto assurde e assai lontane da ciò che veniva considerato il “buon senso scientifico”.
Tuttavia, nei primi anni novanta, le cose in ambito accademico iniziarono a cambiare, e molti fisici (...ma non tutti) cominciarono a rivalutare seriamente le ipotesi di Everett, sulla possibilità di un Universo in cui la funzione d’onda non collassi mai, e quindi legata al formalismo della meccanica quantistica più “avanzata”, ossia quella il cui scopo è di cercare di risolvere i punti ancora oscuri dell’Interpretazione di Copenhagen.
In molti si cimentarono quindi nell’elaborazione di costrutti logico-matematici, a sostegno della tesi di Everett (uno dei suoi più agguerriti sostenitori è sicuramente David Deutsch); altri invece cercarono di elaborare delle teorie matematiche atte a demolire definitivamente la Teoria dei Molti Mondi. Uno di questi ad esempio è Abner Shimony, attualmente professore emerito alla Boston University. La sua critica più conosciuta in ambito accademico alla teoria di Everett, la espose con le seguenti parole:"Dal punto di vista di qualunque osservatore - o più esattamente,dal punto di vista di ogni "diramazione" di un osservatore - la diramazione del mondo da lui osservata si evolve in modo stocastico. Poiché tutte le altre diramazioni sono inaccessibili alle sue osservazioni, l'interpretazione di Everett ha esattamente lo stesso contenuto empirico - nel senso più ampio possibile - di una teoria quantistica modificata in cui sistemi isolati di tipo opportuno subiscono occasionalmente "salti quantici" che violano l'equazione di Schrödinger. Pertanto Everett ottiene l'evoluzione continua dello stato quantistico globale al prezzo di una violazione estrema del principio di Occam (...)"
L'ipotesi di Everett però non viola il principio di Occam.
Quando il sistema osservato è piccolo,l'Universo,inteso nel senso corrente di tutto ciò che esiste,non si scinde.Solo l'apparato di misura si scinde.Se decidiamo che è l'Universo a scindersi,esso consiste di tutti gli Universi classici permessi dal dominio,in cui la funzione d'onda dell'Universo non è nulla.Solo in apparenza quindi,questa è una violazione del principio di Occam; poiché uno dei problemi presenti a livello classico consiste nel considerare il fatto evidente che tra tutti i punti dello spazio dei dati iniziali delle equazioni di Einstein,uno solo è stato "realizzato".È un problema comune a tutte le teorie classiche. A livello classico,per risolvere questo problema si devono porre le condizioni iniziali sullo stesso piano delle leggi fisiche.Si devono inoltre introdurre ulteriori leggi fisiche per implicare la riduzione della funzione d'onda.Adottando l'ipotesi di Everett non si deve invece ricorrere a nessuna legge nuova, perché in questo caso tutti i punti nello spazio dei dati iniziali corrispondono a Universi classici realmente esistenti.
Da queste brevi ma essenziali considerazioni, è facile intuire quindi (anche per un profano) quanto sia enorme la quantità di approcci logico-matematici e per certi aspetti anche filosofici, che si possono adottare, sia per cercare di smontare la tesi di Everett, sia per cercare invece di convalidarla. In termini puramente matematici, sull’ipotesi di Everett ci si potrebbe tranquillamente speculare ad infinitum; cosa che a molti potrebbe sembrare quasi un paradosso, considerando la sua eleganza e semplicità da un punto di vista formale.

Forse a causa anche di uno sconforto generale, per l’impossibilità di arrivare ad una “soluzione comune” in grado di chiarire definitivamente ogni cosa, riguardo alla MWI, in questi ultimi anni, l’interesse dei fisici si è spostato principalmente verso ciò che si potrebbero definire delle “prove sperimentali” (seppure indirette, poiché la comunicazione tra i vari mondi non è concessa, nell’ipotesi di Everett), a sostegno o meno dell’ Interpretazione a Molti Mondi.
Tralasciando le ipotesi o teorie più complesse (...ma anche le più assurde ed improbabili), ne prenderò in considerazione una che a mio avviso è sicuramente degna di nota; la sua importanza sta nel fatto che da un punto di vista sperimentale, con il progressivo ed esponenziale avanzamento del progresso scientifico-tecnologico, essa potrebbe (tra non più di 150 anni) fornirci effettivamente una prova indiretta dell’esistenza o meno di altri mondi e dimensioni, al di fuori di quello che attualmente conosciamo (e in cui viviamo). La verifica sperimentale di questa teoria, allo stato attuale della tecnica non è quindi ancora possibile, perché richiederebbe l’utilizzo di acceleratori di particelle in grado di produrre una quantità di energia di 10^19 GeV (dieci alla diciannovesima miliardi di elettronvolt !), andando così oltre la Grande Unificazione (GUT) per raggiungere a pieno titolo la Teoria del Tutto, dove le quattro forze fondamentali della natura (le tre forze di pertinenza quantistica più la gravità) si uniscono.

Le basi su cui poggia tale teoria, consistono nella possibilità che l’Universo a noi noto, decada in un nuovo vuoto quantisticoAlcuni fisici presumono che l’Universo in cui viviamo, si trovi in uno stato di falso vuoto quantistico, e che di conseguenza esso abbia già dovuto sperimentare da tempo una condizione di tunnel quantistico per giungere ad uno stato di vero vuoto quantistico (ground state). Il fatto che questo non sia mai accaduto, dimostrerebbe (indirettamente) la validità e la fondatezza della Teoria a Molti Mondi. Nella teoria quantistica dei campi, lo stato di vuoto rappresenta lo stato di vuoto quantistico con la più bassa energia possibile. In genere tale vuoto non contiene delle particelle fisiche (a volte viene usato anche il termine “campo di punto zero” per indicare lo stato di vuoto di un singolo campo quantizzato). La meccanica quantistica comunque, ci dimostra che non può esistere uno stato di vuoto totale e assoluto, in esso vi saranno sempre presenti (anche se in piccole quantità) delle onde elettromagnetiche assai effimere e sfuggenti come del resto anche particelle in grado scomparire e ricomparire un’infinità di volte, poiché su scale prossime alla lunghezza di Planck, spazio e tempo perdono qualsiasi significato fisico.
Rimanendo sempre nella teoria quantistica dei campi, è possibile comunque prendere in considerazione anche un altro modello o tipologia di vuoto, il cosiddetto: falso vuoto.
Esso è da considerarsi un settore metastabile di spazio, paragonabile ad una sorta di “vuoto perturbativo”, influenzabile dagli effetti di instanton che potrebbero (grazie ad una fugace condizione di tunnel quantistico) portare il falso vuoto in questione in uno stato di energia molto più basso. La condizione di tunnel quantistico, verrebbe innescata in tal caso da fluttuazioni quantistiche oppure dalla creazione di particelle ad alta energia. In poche parole, il falso vuoto rappresenta un “minimo locale”, ma non la più bassa energia di stato, anche se può rimanere stabile per un po' di tempo.
Fig.1
Nel grafico (Fig.1), l’energia (E) è in funzione di un campo scalare (j) in un falso vuoto quantistico. Dal grafico si evince che l’energia (E) del falso vuoto è più elevata rispetto a quella del vero vuoto. Esiste comunque una sorta di barriera, tra i due stati, in grado di impedire l’oscillazione-slittamento del falso vuoto verso quello vero. Affinché possa accadere quindi il fenomeno del “passaggio di stato” tra un vuoto e l’altro, ossia affinché il falso vuoto possa “decadere” in quello vero, occorre stimolare il sistema con la creazione di particelle ad alta energia oppure mediante l’effetto tunnel quantistico.
Gli effetti gravitazionali, in relazione alla teoria sin qui trattata sui vari stati di vuoto quantistico, sono sicuramente numerosi e tutt’altro che semplici da studiare da un punto di vista prettamente matematico, soprattutto se si vuol poi cercare di correlarli all’Interpretazione a Molti Mondi di Everett (alcuni studi sono stati eseguiti da S.Coleman e F.De Luccia, ma non hanno portato a grandi risultati).
Da un punto di vista teorico quindi, sono ancora molte le strade che si possono esplorare nel tentativo di gettare le basi matematiche per la nuova fisica del 2100, o del 2150 (visto l’enorme quantità di energia che occorre impiegare per giungere finalmente al Sacro Graal della fisica, la Teoria del Tutto). Per ora, dobbiamo accontentarci degli ormai prossimi esperimenti che verranno eseguiti al Large Hadron Collider presso il CERN di Ginevra (in Svizzera), entro la fine di quest’anno (2009); esperimenti che in ogni caso, sveleranno (tra al massimo un paio d’anni) parecchi misteri rimasti ancora irrisolti a proposito del Modello Standard e della tanto ricercata Supersimmetria.
Da un punto di vista sperimentale,almeno la Teoria della Grande Unificazione, sembrerebbe sempre più “a portata di mano”.

Fausto Intilla (16 giugno 2009)

Bibliografia:
“Il Principio Antropico”, di John D.Barrow e Frank J.Tipler
“Il Mondo dentro il Mondo”, di John D.Barrow
“La Trama della Realtà”, di David Deutsch

Sitografia:
http://en.wikipedia.org/
http://it.wikipedia.org/

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