sabato 11 aprile 2009

Dove comincia lo spazio

FONTE

Il confine fra atmosfera e spazio esterno si trova a 118 chilometri di quota, in una regione troppo alta per essere studiata con palloni sonda e troppo bassa per i stelliti.
Un gruppo di ricercatori dell'Università di Calgary, in Canada, ha messo a punto uno strumento che ha permesso di tracciare con accuratezza i punti di transizione fra l'atmosfera terrestre e lo spazio esterno, là dove i venti della più alta atmosfera lasciano il posto a violenti flussi di particelle cariche. Il confine fra la nostra atmosfera e lo spazio esterno si colloca per la precisione a 118 chilometri di quota. Lo strumento - chiamato Supra-Thermal Ion Imager, e costato quasi mezzo milione di dollari - era stato lanciato nel gennaio 2007, a bordo del razzo JOULE-II ed ha viaggiato a 200 chilometri di altitudine, spostandosi più volte attraverso la linea di confine fra atmosfera e spazio. "Quando si trascina un oggetto su una superficie, l'interfaccia si scalda. Con JOULE-II siamo stati in grado di misurare direttamente le due regioni trascinate una sull'altra, la prima essendo la ionosfera e l'altra l'atmosfera terrestre", ha osservato David Knudsen, che ha diretto la ricerca e firma un articolo pubblicato sul Journal of Geophysical Research.Finora i dati relativi a questa regione "di confine" erano estremamente scarsi, dato che essa è situata troppo in alto per essere raggiunta da palloni sonda e troppo in basso per i satelliti. "E' solo la seconda volta che si riesce ad avere misure diretta dei flussi di particele cariche in questa regione, ed è la prima in cui sono stati presi in esame tutti gli elementi interessanti, ivi inclusi quelli riguardanti i vento dell'alta stratosfera"."I risultati ci hanno fornito uno sguardo più ravvicinato allo spazio e ci permette anche di calcolare i flussi di energia nell'atmosfera che possono essere utili per comprendere meglio le interazioni fra lo spazio e il nostro ambiente, come il raffreddamento e il riscaldamento del clima della Terra, e come il 'clima' spaziale influisce sui satelliti, le comunicazioni, la navigazione e i sistemi elettrici", ha concluso Knudsen. (gg)

L'origine del fondo cosmico a infrarossi

Lo studio ha permesso di scoprire galassie immerse nelle polveri stellari che occultano circa la metà della luce cosmica che proviene dalla stelle.
Dopo due anni di raccolta dati, sono stati resi noti i primi risultati del Balloon-borne Large-Aperture Sub-millimeter Telescope (BLAST), illustrati in un articolo sulla rivista “Nature”.Lo studio rivela che il fondo cosmico a raggi infrarossi, il cosiddetto (FIRB), ha origine da singole galassie distanti da noi tra 7 e 10 miliardi di anni luce. Il telescopio, realizzato grazie a un'ampia collaborazione guidata dall'Università della Pennsylvania, ha raccolto dati a partire dal 2006 a circa 40 chilometri di altezza sopra l'Antartide.La posizione del telescopio, al di sopra di una notevole parte dell'atmosfera terrestre, permette di osservare l'universo distante in un intervallo di lunghezze d'onda praticamente irraggiungibile da terra.Lo studio ha permesso di scoprire galassie immerse nelle polveri stellari che occultano circa la metà della luce cosmica che proviene dalla stelle.Nei tardi anni novanta, furono osservate le cosiddette galassie infrarosse ultra-luminose, in cui il tasso di formazione stellare appariva centinaia di volte superiore ai livelli constatati nel cosmo più vicino. Si ritiene che tali galassie, distanti 7-10 miliardi di anni luce, diano origine al FIRB, scoperto dal satellite COBE; fin dall'inizio, le misurazioni del fondo a infrarossi avevano mirato di individuare i singoli contributi alla radiazione. Lo studio BLAST combina le misurazioni ottenute dal telescopio nello spettro di lunghezze d'onda inferiori al millimetro con quelle ben più piccole dello Spitzer Space Telescope. I risultati confermerebbero che il fondo a infrarossi deriva da singole galassie distanti, risolvendo così una questione scientifica che dura da circa un decennio. (fc)

domenica 5 aprile 2009

La prima Vertical Farm al mondo potrebbe sorgere a Milano

a cura di Maurizio Melis
La prima Vertical Farm al mondo potrebbe sorgere a Milano, e avrebbe tutte le carte in regola per essere il simbolo dell'EXPO 2015. Skyland - questo il nome del progetto - è frutto della collaborazione tra ENEA, che ha sviluppato l'impianto progettuale, Agrimercati, che ha fornito la consulenza sul versante agroindustriale, e l'assessorato alla Salute di Milano.
Feeding the Planet, Energy for Life, recita lo slogan vincitore dell'EXPO, e Skyland li riassume efficacemente entrambi. Si tratta di un grattacielo verde, al cui interno vengono coltivati prodotti agricoli biologici per 25 mila persone, che vengono distribuiti al piano terra, in un centro commerciale, senza che facciano un solo chilometro. L'edificio funziona senza utilizzare un watt di energia che non sia autoprodotto e senza generare rifiuti o emissioni.
Il progetto arriverà presto sul tavolo del Sindaco di Milano Letizia Moratti. E a quel punto inizierà il dibattito. Un dibattito, speriamo, non inquinato da giudizi frettolosi. Perché, inutile negarlo, di primo acchito l'idea di coltivare massicciamente verdura in un palazzo in città appare improbabile, problematica quando non assurda. Un'impressione che però svanisce rapidamente leggendo i documenti della Columbia University (ampiamente disponibili in rete su www.verticalfarm.com) che per prima, dieci anni fa, propose l'idea.
L'idea nasce dal lavoro di Dickson Despommier e dal progetto Green-roof: l'esperimento che lo stesso Despommier condusse per rendere verdi i tetti dei grattacieli di Manhattan. Si tratta di studi volti a ridurre al minimo l'impronta ecologica umana: ovvero la quantità di risorse, espresse in metri quadri di territorio, che ogni individuo sfrutta per condurre un certo tenore di vita. Inutile specificare che per un abitante di un paese ricco, questa impronta è enormemente più grande di quella di un abitante di un paese povero, e che la somma di tutte le impronte ecologiche degli abitanti della Terra non dovrebbe superare la superficie della Terra stessa (ciò che invece accade). La sfida a cui il progetto Vertical Farm intendeva rispondere sin dall'inizio, dunque, è meno spazio e meno risorse per produrre gli stessi beni e servizi. Efficienza è, perciò, la parola d'ordine di tutta l'operazione.
Non si sostiene che le Vertical Farm possano rappresentare, da sole, la risposta ai ben noti problemi che l'eccessivo sfruttamento di risorse naturali sta causando su scala planetaria. Ma d'altronde, è persino improbabile che una tale panacea esista. E' invece in un mix di nuovi paradigmi produttivi e nuove tecnologie che va cercato l'equilibrio, sapendo che solo l'esperienza ci dirà, col tempo, con quali ingredienti e in quali dosi si produce il mix ottimale. Ebbene: le Vertical farm potrebbero decisamente farne parte. Mentre è sbagliato vederle in contrapposizione alla salvaguardia dei prodotti tipici e allo sviluppo di un'agricoltura orientata a produrre servizi ambientali, e non solo cibo. Semmai le Vertical Farm potrebbero liberare spazio proprio per un utilizzo di maggiore qualità del territorio.
Le Vertical Farm sfidano un paradosso che si è consolidato al punto da essere dato per scontato: le città sono luoghi in cui si concentra una enorme domanda di beni, ma si producono solo servizi. A questo stato di cose, si contrappone una nuova concezione di città, a cavallo tra antico e postmoderno, che vede ritornare all'interno delle mura attività espulse nei secoli precedenti. Non solo la produzione di energia, geotermica o fotovoltaica che sia, ma anche l'agricoltura.
Il progetto, se tutto andrà bene, sorgerà nell'area dell'Ex Macello, e si inserirà all'interno della futura Città del Gusto e della Salute. Si parla di un edificio di 30 piani, per un totale di 10 ettari di superficie, all'interno del quale varie specie vegetali verrebbero coltivate con tecniche idroponiche capaci di innalzare di varie volte la produttività di ogni metro quadro di superficie (esistono progetti che prevedono anche l'allevamento di pesci o di piccoli animali, quì non contemplato).
L'ambiente di coltivazione sarebbe chiuso e controllato. Ciò non solo permetterebbe alla struttura di essere produttiva 12 mesi all'anno, ma evitando l'ingresso di parassiti o erbe infestanti, eliminerebbe ogni necessità di pesticidi e diserbanti. Anche l'aria verrebbe filtrata prima di essere immessa nell'edificio, rimuovendo inquinanti e polveri.
La struttura ideata dagli architetti dell'ENEA si sviluppa attorno a un pilone centrale di 16 metri di diametro, in cui sono alloggiati tutti i servizi, e per il resto è costituita da un sistema di tiranti e vetro, molto leggera e trasparente:"Non bisogna immaginare - spiega Mauro Basili - un palazzo convenzionale, diviso in piani, sui quali vengono installate coltivazioni anziché uffici. E' qualcosa di completamente diverso". Gli architetti dell'ENEA hanno curato particolarmente l'aspetto notturno dell'edificio, ma bisognerà aspettare la presentazione ufficiale per vedere i progetti e capire.
Mauro Basili è il Responsabile dell'Ufficio di Presidenza dell'ENEA (l'organo che nello statuto dell'ENEA sostituisce il vicepresidente) al quale fa capo anche il Centro Studi, dove è stato messo a punto il progetto. Skyland - spiega Basili - risponderà al criterio dei "Cinque Zeri":
Zero Distance: ovvero vendita al dettaglio sul luogo stesso della produzione. Evitando il trasporto degli alimenti si risparmiano sia combustibile che rifiuti.
Zero Waste: tutti i rifiuti generati sia dalle attività produttive che dalle altre attività che si svolgeranno all'interno dell'edificio (sono previsti punti ristoro, ponti per visitare l'installazione, un auditorium e laboratori di ricerca e sviluppo) saranno o utilizzati per produrre energia o riciclati.
Zero Emission: tutte le emissioni in aria e in acqua saranno filtrate, evitando di immettere in ambiente qualsivoglia inquinante.
Zero Pesticide: nessun bisogno di pesticidi, antiparassitari o disinfestanti grazie all'ambiente chiuso e controllato.
Zero Power: per funzionare, la struttura avrà bisogno di alcuni GWh all'anno di energia, questi saranno prodotti per un 30% circa da pannelli fotovoltaici e dalla biomassa costituita dagli scarti vegetali, e per il resto dalla più grande pompa geotermica d'Europa.
Le funzioni di Skyland non si esaurirebbero, come già accennato, con la produzione di derrate alimentari. D'altronde, le potenzialità di progetti di punta come questi emergono, assai più che dalle mere capacità produttive, da quelle di catalizzare processi ad alto valore aggiunto, sia economico che culturale. Si calcola che ogni dollaro speso in sonde spaziali provochi una ricaduta economica di sette dollari sulla terra. E' un dato comune ai progetti fortemente innovativi.
Skyland ospiterebbe laboratori di ricerca deputati allo sviluppo di tecnologie secondo due filoni principali. Da un lato la stessa "tecnologia Skyland": la torre, infatti, si configurerebbe per definizione come il primo prototipo di Vertical Farm al mondo, primato che potrebbe fare dell'Italia un leader tecnologico con capacità di esportazione. Dall'altro lato, nei laboratori si svilupperebbero tecnologie di monitoraggio e tracciamento della qualità degli alimenti, anche queste destinate a costituire un modello esportabile. Obbiettivi che chiamano inevitabilmente in causa le competenze e la capacità formativa dell'Università di Milano, e in particolare della Facoltà di Agraria, che è tra le migliori d'Europa. Infine, in quanto luogo aperto, visitabile dal pubblico e fruibile per attività culturali, Skyland eserciterebbe una funzione di cinghia di trasmissione rispetto ai temi della qualità degli alimenti e della loro sicurezza.
Lo dichiariamo: questo progetto piace a noi di Moebius. Convinti come siamo che il Paese debba posizionarsi, all'interno dello scenario globale, come leader in alcuni specifici settori industriali, come è stato per molti anni con l'industria tessile, alimentare, del design e della moda. I settori industriali che presentano di gran lunga i trend di crescita più elevati, sono oggi quelli connessi con le problematiche dell'efficienza energetica e dell'ambiente. Ed è perciò a questi che bisogna agganciarsi.
Solo un breve aneddoto per concludere. Circa un anno fa fu diffusa la notizia che si sarebbe costruita la prima Vertical Farm a Las Vegas. Fece rapidamente il giro del mondo, ma si rivelò una bufala. Le cifre che vi si citavano, però, non erano affatto improbabili. La città tutta luci e pajette, vi si sosteneva, non voleva farsi scappare l'opportunità di ospitare l'ennesima attrazione, grazie alla quale avrebbe incassato, compreso il contributo dei visitatori, più o meno quanto un Casinò.