lunedì 29 dicembre 2008

Infanzia – Ai bimbi vivaci uno psicofarmaco per sedare



FONTE

Essere bambini è una malattia: così se un minore ha voglia di giocare, mostra disinteresse per i compiti e ha la frenesia di muoversi e giocare, uno psicofarmaco può “sedare” la sua vivacità.
La malattia, priva di qualunque fondamento scientifico ma scoperta/creata dalle opinioni di esperti e dottori, nasce negli Stati Uniti: l’Adhd, altrimenti detta sindrome da iperattività e deficit dell’attenzione, non richiede nessun esame diagnostico, nessun metodo oggettivo per stabilire l’esistenza di tale patologia in una bambino. Una vivacità, quella di bambini iperattivi curata con psicofarmaci, che è approdata in Italia con l’utilizzo del Ritalin. Una vivacità esagerata che spesso potrebbe significare semplicemente una forte vitalità del bambino o di disagi all’interno del contesto familiare o una mancanza di attenzione da parte dei genitori verso i propri figli.
Molte associazioni umanitarie in lotta contro la medicalizzazione del disagio dei minori si sono occupate del caso ed impegnate nella lotta contro questo uso indiscriminato di psicofarmaci dai pericolosi effetti collaterali sui bambini, fino a realizzare una video-inchiesta dal titolo “Epidemia chimica”.

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venerdì 26 dicembre 2008

ZFS (file system) - Capacità e Limiti

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ZFS è un file system open-source sviluppato dalla Sun Microsystems per il suo sistema operativo Solaris. È stato progettato da un team con a capo Jeff Bonwick. Il nome originario doveva essere "Zettabyte File System", ma è diventato un acronimo.
ZFS è noto per la sua alta capacità e per l'integrazione di diversi concetti presi da vari file system in un unico prodotto.
ZFS fu annunciato nel settembre del 2004[1]. Il codice sorgente fu rilasciato assieme a quello di Solaris il 31 ottobre del 2005[2] e rilasciato nella build 27 di OpenSolaris il 16 novembre 2005. ZFS fu fornito assieme all'aggiornamento 6/06 di Solaris 10 nel giugno del 2006[3].
Nel giugno 2007 viene annunciata l'adozione di ZFS anche per il Mac OS X Leopard di Apple, notizia inizialmente smentita nel corso del WWDC07 da Brian Croll, senior director di product marketing per Mac OS, che ha dichiarato che “ZFS non ci sarà", salvo poi smentire le smentita. ZFS non sarà comunque il file system principale di Mac OS 10.5 Leopard ma piuttosto affiancherà HFS+ .
ZFS è un file system a 128-bit, potendo fornire uno spazio di 16 miliardi di miliardi (16 quintilioni) di volte la capacità dei file system attuali a 64-bit. I limiti del ZFS sono stati progettati per essere così ampi da non essere mai raggiunti in una qualsiasi operazione pratica. Bonwick affermò che "per riempire un file system a 128 bit non sarebbero bastati tutti i dischi della terra".
Ecco alcuni limiti teorici del ZFS:

2^48 — numero di snapshot (2 × 10^14);
2^48 — numero di file (2 × 10^14);
16 exabyte — dimensione massima di un file system;
16 exabyte — dimensione massima di un file singolo;
16 exabyte — dimensione massima di un attributo;
3 × 10^23 petabyte — dimensione massima di uno zpool;
2^56 — numero di attributi di un file (attualmente limitato a 2^48);
2^56 — numero di file in una directory (attualmente limitato a 2^48);
2^64 — numero di device per ogni zpool;
2^64 — numero di zpools;
2^64 — numero di file system in uno zpool.
Un utente che volesse creare mille file al secondo, impiegherebbe 9000 anni a raggiungere il limite.
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« Anche se ci piacerebbe che la legge di Moore possa continuare per sempre, la meccanica quantistica impone alcuni limiti fondamentali sul calcolo computazionale e sulla capacità di memorizzazione di una qualsiasi unità fissa. In particolare è stato dimostrato che un chilo di materia confinata in un litro di spazio può effettuare al massimo 10^51 operazioni al secondo su al massimo 10^31 bit di informazioni (vedere Seth Lloyd, "Ultimate physical limits to computation." Nature 406, 1047-1054 (2000)). Un pool di storage a 128-bit completamente riempito dovrebbe contenere 2^128 blocchi (nibble) = 2^137 bytes = 2^140 bits; quindi lo spazio minimo richiesto dovrebbe essere (2^140 bit) / (10^31 bits/kg) = 136 miliardi di kg.Con il limite dei 10^31 bit/kg, l'intera massa di un computer dovrebbe essere sotto forma di energia pura. Secondo l'equazione E=mc^2, l'energia residua dei 136 miliardi di kg è di 1,2x10^28 J. La massa dell'oceano è circa 1,4x10^21 kg. Occorrebbero 4.000 J per aumentare la temperatura di 1 kg di acqua per 1 grado Celsius e circa 400.000 J per bollire 1 kg di acqua ghiacciata. La fase di vaporizzazione richiede altri 2 milioni di J/kg. L'energia richiesta per bollire l'oceano è circa 2,4x10^6 J/kg * 1,4x10^21 kg = 3,4x10^27 J. Quindi, riempire uno storage a 128-bit dovrebbe richiedere più energia che bollire gli oceani. »

mercoledì 24 dicembre 2008

D-Wave's AQUA (Adiabatic QUantum Algorithms) - Software scaricabile gratuitamente


D-Wave's AQUA (Adiabatic QUantum Algorithms) è un progetto di ricerca il cui obiettivo è quello di prevedere le prestazioni dei computer quantistici (a superconduzione adiabatica) su una serie di problemi difficili, derivanti da settori che spaziano dalla scienza dei materiali all'apprendimento delle macchine (neurorobotica & AI). AQUA@home usa i computer collegati a Internet per contribuire a progettare e analizzare algoritmi di calcolo quantistico, utilizzando il metodo Quantum Monte Carlo . È possibile partecipare al progetto utilizzando il vostro PC, scaricando gratuitamente il programma dai link qui sotto elencati.
AQUA@home is based at D-Wave Systems Inc., Burnaby, British Columbia, Canada.
Read this white paper on AQUA for information about the science of AQUA's application.
Download the AQUA application's
object files. The files may not always be uptodate. You will need these BOINC object files for 32-bit Linux to link the object file.
See the
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venerdì 12 dicembre 2008

Rivedere al monitor i propri sogni

FONTE

Per ora i ricercatori sono riusciti a riprodurre dal cervello solo semplici immagini grafiche, ma la tecnologia, mira a "estrarre" sogni e altri segreti dalla mente delle persone.
Un gruppo di ricercatori giapponesi degli ATR Computational Neuroscience Laboratories è riuscita a elaborare e visualizzare immagini "riprese" direttamente dal cervello umano: lo riferiscono gli autori in un articolo (Visual Image Reconstruction from Human Brain Activity using a Combination of Multiscale Local Image Decoders) pubblicato sulla rivista "Neuron".
Per il momento i ricercatori sono riusciti a riprodurre dal cervello soltanto semplici immagini grafiche, ma una volta raffinata e sviluppata la tecnologia, affermano, potrà alla fine essere utilizzata per "estrarre" sogni e altri segreti dalla mente della persone.
"Per la prima volta al mondo è stato possibile visualizzare direttamente dall'attività cerebrale ciò che una persona vedeva. Applicando questa tecnologia può diventare possibile registrare e riprodurre le immagini soggettive che le persone esperiscono nei sogni", hanno osservato i ricercatori.
Quando una persona osserva un oggetto, la retina codifica sotto forma di segnali elettrici un'immagine che, così codificata, è inviata alla corteccia visiva. I ricercatori, guidati da Yukiyasu Kamitani, sono riusciti a tracciare i segnali e a ricostruire ciò che una persona stava vedendo. Nei loro esperimenti i neuroscienziati hanno mostrato ai loro soggetti le sei lettere della parola neuron e successivamente sono stati in grado di ricostruire le lettere su un monitor collegato a un computer che misurava e decodificava i segnali cerebrali. Per estrarre l'immagne basandosi sulla rilevazione dei contrasti, i computer hanno esaminato, per ogni immagine mostrata, qualcosa come 2 alla 100 stati alternativi possibili di voxel ("pixel" tridimensionali). (gg)

giovedì 11 dicembre 2008

Verso un cocktail di farmaci contro l'epatite C

Le differenze genetiche fra diversi ceppi virali nella codifica della proteina p7 sono in grado di alterare la sensibilità del virus ai farmaci che ne bloccano la funzionalità.

Una combinazione di diverse terapie simile quelle utilizzate nei casi di infezione da HIV potrebbe essere il migliore trattamento per il virus dell’epatite C (HCV).È quanto affermano i ricercatori dell’Università di Leeds in base a uno studio che ha avuto come oggetto la proteina chiamata p7. Le analisi, infatti, hanno rivelato che le differenze genetiche nella codifica della proteina fra diversi ceppi virali sono in grado di alterare la sensibilità del virus ai farmaci che ne bloccano la funzionalità. La proteina p7, secondo le attuali conoscenze, riveste un ruolo importante nella diffusione dell’HCV in tutto il corpo e rappresenta un bersaglio terapeutico potenziale per aggredire il virus.Il suo ruolo è stato scoperto nel 2003 da Steve Griffin, Mark Harris e Dave Rowlands della Facoltà di scienze biologiche della stessa università."Una delle sfide nella ricerca di nuovi trattamenti per il virus è la loro capacità di cambiare costantemente il loro corredo genetico”, ha spiegato Harris. "La nostra ricerca mostra che non sarebbe adatto adottare un approccio univoco per il trattamento dell’HCV con inibitori della proteina p7; riteniamo invece che diversi trattamenti in combinazione potrebbero avere una maggiore efficacia, dal momento che potrebbero tenere conto della variabilità di tale proteina.”Si calcola che nel mondo circa 180 milioni di persone siano affette dal virus HCV, un patogeno che causa un’infiammazione del fegato che può portare a un’insufficienza epatica o a un tumore.Il virus si diffonde per contatto con sangue infetto o altri fluidi biologici, è in larga parte asintomatico nelle prime fasi d’infezione e per esso non è ancora disponibile un vaccino. L’attuale trattamento standard prevede la somministrazione di farmaci antivirali non specifici ad ampio spettro.In quest’ultimo studio Griffin e Harris hanno esaminato la risposta dell’HCV a un’ampia gamma di composti tra cui la ben nota molecola antivirale rimantadina, che ha come bersaglio una proteina simile del virus dell’influenza. Si è così riscontrato come l’efficacia del farmaco dipenda in effetti dalla variabilità genetica della proteina p7."La nostra attenzione si è concentrata sulla rimantadina per verificare i suoi effetti poiché la p7 ha un ruolo simile a un’altra proteina trovata nel virus dell’influenza”, ha commentato Griffin. "Sebbene la rimantadina funzioni bene il laboratorio, ora abbiamo bisogno di sviluppare nuovi farmaci diretti specificamente contro la p7, e dovremmo sviluppare ulteriormente questo approccio per le future terapie.” (fc)

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mercoledì 10 dicembre 2008

Superconduttore a comando


Ora superconduce, ora no. E l'interruttore che spegne a comando la super-proprietà del nuovo dispositivo è un banale campo elettrico. In pratica, ciò che è stato realizzato da Andrea Caviglia e colleghi dell'Università di Ginevra è il primo transistor superconduttore. Il suo funzionamento, raccontato su Nature, rappresenta un traguardo della fisica applicata e apre la strada allo sviluppo di una nuova generazione di microchip - e quindi di computer - molto più veloce di quella attuale.
Per capire come funziona il dispositivo e perché sia ritenuto tanto promettente si deve partire da un'altra scoperta, fatta lo scorso anno dallo stesso gruppo di ricerca dell'ateneo svizzero e pubblicata su Science. In quello studio, i fisici hanno realizzato un singolo cristallo in cui due ossidi metallici (titanato di stronzio e alluminato di lantanio) si trovano separati. Tra questi due materiali, i ricercatori hanno trovato uno strato di elettroni liberi (nuvola elettronica) che a 0,3 Kelvin - cioè appena sopra lo zero assoluto - viaggiano senza alcuna resistenza. A quella temperatura, il cristallo diviene quindi un superconduttore.
Gli scienziati hanno ora scoperto il modo di spegnere e accendere la superconduttività di questo cristallo a piacere, o di modularla, semplicemente applicando un campo elettrico al punto di contatto tra i due ossidi. Il risultato è una versione superconduttiva dei transistor a effetto campo (Fet), dispositivi ben noti nella fisica applicata, in grado di passare da uno stato semiconduttore a uno isolante, e fondamentali nell'elettronica digitale (il fatto che la corrente possa passare o meno viene utilizzato come codice binario 1-0 con cui immagazzinare le informazioni).
Poiché il transistor a effetto campo è un semiconduttore, però, oppone sempre un po' di resistenza al passaggio di corrente. Questo vuol dire che la velocità a cui si possono far passare gli elettroni quando il dispositivo è “on” è limitata: aumentarla, infatti, significa sviluppare calore e oltre un certo limite questo effetto collaterale danneggia il transistor.
Un transistor superconduttore, invece, può far passare gli elettroni (e registrare informazioni) molto più velocemente, dal momento che non oppone alcuna resistenza al passaggio di corrente e, quindi, non sviluppa calore. Resta il problema delle temperature estremamente basse necessarie per la superconduttività. Un limite che la ricerca sta da tempo tentando di superare (Superconduttori caldi, Il segreto degli elettroni, Segrete simmetrie, Superconduttori ad alte temperature).
Un totale volta faccia della proprietà conduttiva dovuta alla presenza di un campo elettrico è già stato descritto lo scorso aprile in un altro studio apparso sulle pagine di Nature. In quel caso si passava addirittura da uno stato superconduttivo a uno superisolante. Osservato, oltretutto, per la prima volta (Ecco il superisolante).
Un'altra recente e importante scoperta dell'Università della Florida (Usa) nel campo della superconduttività dimostra, invece, l'esistenza di materiali che mantengono la loro peculiarità anche se sottoposti a un campi magnetici elevatissimi (Classe magnetica).