sabato 22 novembre 2008

Sistemi Neurorobotici: Quando l'informatica abbraccia la biologia

Una delle ultime frontiere delle neuroscienze è la neuro robotica, disciplina che si propone di far interagire robot e cervelli. Oggigiorno esistono diversi modelli sperimentali di cyberrobot che rappresentano il massimo risultato del connubio tra alta tecnologia e fondamenti di biologia e neuroscienze. Se definiamo l’apprendimento come la capacità di acquisire nuovi “comportamenti” attraverso l’esperienza, possiamo affermare che studiando sistemi bio-artificiali neuro-robotici, siamo in grado di investigare i meccanismi di plasticità sinaptica alla base dell’apprendimento.
L’intervento della robotica in questo contesto, attraverso un nuovo paradigma sperimentale che permette l’osservazione di un sistema neuronale connesso con un corpo artificiale, può aiutare alla comprensione dei meccanismi che sono alla base dell’apprendimento.
Con questo obiettivo sono stati realizzati dei sistemi ibridi, dove un “cervello” è stato interfacciato ad un sistema robotico al fine di studiare le proprietà adattive del sistema nervoso in modo
controllato. Fornendo un “corpo”, sebbene robotico, ad una coltura di neuroni, il “significato” dell’attività e della dinamica neuronale emerge in maniera più evidente. In questo caso infatti, l’attività stessa della rete è anche frutto delle stimolazioni indotte dall’interazione con l’ambiente. La rete di neuroni possiede un corpo che, muovendosi nell’ambiente, fornisce “esperienza” permettendo lo studio di comportamenti "intelligenti".

Il primo esempio: un cervello di lampreda connesso a un robot mobile.
Alla fine degli anni ’90 il gruppo di Mussa-Ivaldi presso la Northwestern University di Chicago ha proposto per primo il paradigma sperimentale dove una porzione di cervello di lampreda (una sorta di anguilla dotata di un sistema nervoso molto semplice) è stata collegata ad un corpo artificiale, ovvero un piccolo robot mobile dotato di due ruote ed alcuni sensori di prossimità. Individati specifici percorsi neuronali mediante micropipette di vetro (usate in registrazione) ed elettrodi di metallo (usati in stimolazione) si è creato un “anello chiuso” collegando il segnale elettrofisiologico alle ruote del robot e gli stimoli visivi del robot al sistema di stimolazione del preparato neurale (vedi figura).
Il sistema neuro robotico sviluppato alla Northwestern University dal gruppo del
Prof. Mussa- Ivaldi. Lo schema della preparazione neuronale e della posizione
dgli elettrodi (sinistra). Il robot mobile Khepera (destra). L’interfaccia hw/sw
(centro) tra robot (destra) e lampreda (sinistra). Adattato da Karniel et al. (2005).

Attraverso opportuni, semplici schemi di codifica e decodifica dell’informazione, il segnale elettrofisiologico è tradotto in comandi motori per le ruote del robot, il quale si muove in un ambiente ricco di stimoli luminosi. I sensori di prossimità (usati in modo solo passivo, per
monitorare dove sia collocata la fonte luminosa) raccolgono informazioni sull’ambiente circostante, che vengono tradotte in forma di impulsi elettrici che ritornano al cervello in-vitro al fine di stimolarne l’attività neurale e chiudere il ciclo di informazione.
In questo modo il robot, comandato dal cervello in vitro, si trova a compiere un task di “tracking” del segnale luminoso (figura 1). L’originalità dell’idea ha aperto un nuovo filone di ricerca a cavallo tra le neuroscienze e la neuro ingegneria favorendo una serie di nuovi approcci teorico-sperimentali. Questa nuova modalità sperimentale di un sistema neurale “incorporato” (i.e., embodied) e “situato in un ambiente” (i.e., situated) permette di investigare il rapporto corpo-cervello ed i meccanismi di base di comunicazione ed apprendimento in condizioni controllate.

Neuroni in coltura e "animat".
Il gruppo di Potter al Caltech (CA; USA) ha invece proposto un nuovo paradigma sperimentale di neurorobotica in vitro in cui una rete di neuroni (accoppiata ad una matrice di microelettrodi) è connessa bi-direzionalmente ad un “animat” (i.e., simulated animal). L’attività neuronale è registrata ed utilizzata per muovere un topo virtuale in un ambiente simulato. Il sistema così descritto è un esempio di modello semplificativo a parametri controllabili del cervello dove una rete di neuroni nonstrutturata ma “embodied” può interagire con l’ambiente circostante ed è possibile studiare le capacità intrinseche adattive e le dinamiche neuronali, intese come
modalità di elaborazione dell’informazione in risposta agli stimoli esterni. A partire dai pattern di attività elettrofisiologica si elabora una direzione di movimento (sinistra, destra, avanti, indietro) e opportune stimolazioni elettriche trasducono l’input sensoriale, ovvero chiudono il loop con il risultato dell’interazione nell’ambiente virtuale. L’effetto globale dell’attività della rete è in qualche modo espresso dal comportamento (traiettorie) del robot. Il sistema proposto, benché non sia stato in grado di mostrare comportamenti orientati a compiti specifi
ci (i.e., evitare gli ostacoli, muoversi in direzione privilegiate seguendo stimoli particolari), realizza una semplice modalità per cui è possibile passare dal correlato neuronale ad aspetti macroscopici di tipo comportamentale (figura 2).

Sistema neuro robotico proposto dal gruppo di S. Potter

A partire da questo modello sperimentale sia il gruppo di ricerca di Potter (Bakkum et al. 2004) che il gruppo del prof. Sergio Martinoia del DIBE- Dipartimento di Ingegneria Biofisica ed Elettronica dell’Università di Genova (Novellino et al. 2007), hanno proposto nuovi sistemi d’interazione di tipo senso-motorio in anello chiuso che realizzano una comunicazione
bidirezionale tra neuroni e robot in tempo reale. Il primo gruppo ha sviluppato il sistema
chiamato “hybrot” che si muove in un ambiente definito con compiti di navigazione finalizzati ad evitare un altro piccolo robot mobile, che si muove in maniera casuale (figura 3).


Hybrot (http://www.neuro.gatech.edu/groups/potter/)

Il secondo gruppo ha realizzato un’interfaccia neuro-robotica che realizza in tempo reale un compito reattivo volto ad evitare ostacoli reali (figura 4).


Interfaccia neuro-robotica proposta dal gruppo di Martinoia

Neuroni in coltura accoppiati a un robot autonomo.
In parallelo ad alcuni altri autori che hanno proposto paradigmi sperimentali simili, il gruppo del
professor Sergio Martinoia (http://www.bio.dibe.unige.it/) in collaborazione con il gruppo del professor Vittorio Sanguineti del DIST (Dipartimento di Informatica Sistemistica e Telematica) dell’Università di Genova, ha sviluppato un nuovo sistema di misura costituito da una matrice
di microelettrodi accoppiata in modo cronico ad una rete di neuroni, interfacciata bi-direzionalmente ad un robot autonomo. Il robot si muove in un’arena circolare di 80 cm di diametro, contenente ostacoli circolari della stessa dimensione del robot. Al robot sono assegnati semplici compiti di navigazione (quali esplorare lo spazio circostante evitando gli ostacoli); in particolare, distribuiti pochi ostacoli all’interno dell’arena, si studiano i meccanismi di controllo reattivo e di capacità di apprendimento rispetto al compito assegnato. Il robot è connesso con la rete di neuroni, accoppiata alla matrice di microelettrodi, che ne costituisce il sistema di controllo. Il sistema sperimentale è stato sviluppato secondo una architettura modulare a multiprocessore il cui elemento principale è costituito da un sistema ad anello chiuso in tempo reale. Parte del
software di controllo è stato realizzato in collaborazione con la società ETT srl di Genova:
(http://www.ettsolutions.com/). L’attività elettrofisiologica (acquisita tramite le matrici di microelettrodi) è analizzata in tempo reale per estrapolare l’attività neurale (motoria) che andrà a controllare la velocità delle ruote del robot, allo stesso tempo i neuroni ricevono la trasduzione in stimoli elettrici del feedback sensoriale che codifica la prossimità del robot agli ostacoli (figura 5).

Sequenza da una sessione sperimentale


Prospettive future
Una popolazione di neuroni in coltura che cresce su di un substrato planare rappresenta una struttura indifferenziata nella quale le funzioni sono in qualche modo “offuscate” (non facilmente identificabili come in un sistema in-vivo) anche se le proprietà computazionali sono comunque presenti. È evidente, come più volte sottolineato, che non abbiamo nessuna architettura pre-definita ma possiamo sfruttare, anche se solo in 2-D, le capacità della rete di auto-organizzarsi e di ri-modellare le sue connessioni sinaptiche se provvediamo a fornire alla rete le opportune interazioni con l’ambiente, ad esempio attraverso la connessione ad un corpo robotico.
La novità introdotta dal nuovo paradigma sperimentale neurorobotico è rappresentata dalla
possibilità di coniugare, in un sistema controllabile ed analizzabile, le parti costitutive con cui opera un sistema complesso come un organismo vivente: cervello, corpo e ambiente. Queste tre realtà, che non possono venir facilmente disgiunte, sono, anche se a livello rudimentale, ri-comprese nel sistema sperimentale descritto. Rodney Brooks (Brooks 1991) descrive l'intelligenza come la capacità di interagire con successo con l'ambiente per raggiungere comportamenti finalizzati ("goal directed behavior"). I neuroni hanno,d'altro canto, intrinseci scopi e funzioni (trasmettere segnali, integrare gli ingressi sinaptici, ottimizzare le connessioni,ecc...); queste funzioni intrinseche stanno alla base dei comportamenti intelligenti finalizzati, così come sono stati introdotti. Ovviamente, le basi per lo sviluppo dell'intelligenza sono innate ma le interazioni con un ambiente sufficientemente complesso sono altrettanto necessarie perchè l'intelligenza possa manifestarsi e svilupparsi.

Nel modello sperimentale neuro-robotico, gli scopi "intrinseci" e "locali" della rete di neuroni sono soggetti ad una dettagliata analisi morfo-funzionale, mentre l'esecuzione di comportamenti finalizzati (come evitare gli ostacoli) sono osservati attraverso le attività del corpo robotico. La convinzione è che questi sistemi bio-artificiali possano condurre ad una più precisa definizione e ad una migliore comprensione delle basi neurofisiologiche dell'intelligenza. Queste semplici osservazioni, ci inducono a pensare che forse anche alcune parti e studi di base riferiti alle neuroscienze vadano in parte ripensati alla luce delle possibilità offerte dalle tecnologie robotiche. Lo studio del sistema neuronale isolato, sebbene fondamentale per la comprensione dei meccanismi fini a livello neurofisiologico e biochimico, è comunque intrinsecamente limitato ed in parte fuorviante se si vogliono investigare gli aspetti computazionali, di apprendimento e se si vogliono studiare in maniera quantitativa i processi cognitivi. L'interesse nei sistemi neuro-robotici introdotti può quindi avere un impatto rilevante per cogliere i nessi tra i meccanismi intrinseci di base e le funzioni cognitive ad un più alto livello. Questi sistemi ibridi si potrebbero rivelare interessanti non solo per studi di neuroscienza di base ma anche (o soprattutto) per gli aspetti applicativi legati allo sviluppo di sistemi intelligenti artificiali "bio-ispired" o per lo sviluppo di neuroprotesi di nuova generazione. (Fonte)

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