domenica 20 aprile 2008

Umano ...troppo umano

La progettazione e successiva realizzazione di prototipi robotici sta procedendo ad una velocità inaspettata fino a qualche tempo fa.Accanto agli automi dalle fattezze animali, creati per riprodurre compagni domestici, sono sempre più diffusi robot dall'aspetto umanoide, pensati come surrogati di maggiordomi o come robot badanti che, in futuro dovranno aiutare la popolazione dei paesi industrializzati che sta invecchiando molto velocemente.Quelli che più si distinguono per il livello tecnologico raggiunto sono Asimo di Honda, il Sony Sdr-4x, ora ribattezzato Qrio e Pino, il robot tecnologico della ZMP.Puntando molto sul viso, per creare robot dall’aspetto veramente umano, l’azienda texana (USA) Hanson Robotics ha recentemente presentato il nuovo umanoide Albert Hubo, che si distingue dagli altri per il fatto di avere il viso d'Albert Einstein.Del robot si sa veramente poco: riesce a camminare, esprime vari stati d'animo, riesce a guardare le persone negli occhi e parla interagendo con loro.Se la faccia è indistinguibile da quella del fisico tedesco della relatività, il corpo è quello di un robot come lo intendiamo oggi, molto simile a quello di Asimo.L'azienda che si era già distinta in passato per la creazione dell'automa dalle fattezze femminili Eva, si sta anche dedicando alla realizzazione di un robot dalle fattezze del creatore della fantascienza moderna Philip K. Dick.



La pelle di sintesi messa a punto dall'Hanson Robotics permette di creare espressioni estremamente realistiche, che vanno dalla gioia alla paura, allo stupore. Le telecamere impiantate negli occhi consentono al robot di registrare i volti delle persone e riconoscerli. I dati della visione sono fusi insieme con meccanismi di riconoscimento dei segnali vocali e software di sintesi del linguaggio. Il sincronismo tra queste procedure e l'espressività facciale rende il robot un sistema emulativo completo.



Fausto Intilla - www.oloscience.com

venerdì 11 aprile 2008

Fuoco senza fumo



Un gruppo di ricercatori del Medio Oriente sta testando il principio di ossidazione senza fiamme adattato per le normali turbine a gas industriali.
Turbine a gas industriali di ultima generazione, in grado di produrre energia in modo molto più efficace di quelle attuali e, soprattutto, limitando le emissioni dannose. Come? Sfruttando il principio dell'ossidazione senza fiamme. Sull'ultimo numero di International Journal of Environment and Pollution, rivista internazionale di ambiente e inquinamento, un gruppo di ricercatori del Medio Oriente illustra le potenzialità di sviluppo di Flox (acronimo di flameless oxidation, ossidazione senza fiamme), il sistema che - grazie a una pre-miscelazione interna fra gas combusto e aria comburente in grado di determinare una riduzione dei picchi di temperatura nella zona di reazione tra le due sostanze - limita in modo sensibile la percentuale di ossido di azoto diffusa nell'aria. Secondo Mohamed Sassi, del Petroleum Institute di Abu Dabi e Mohamed Hamdi and Hamaid Bentîcha, del National School of Engineers di Monastir (Tunisia), questo processo potrebbe rappresentare una delle vie maestre da seguire per fronteggiare l'inquinamento su larga scala.
In questo particolare tipo di combustione il carburante viene ossidato da una quantità assai ristretta di ossigeno a temperature molto alte e un'accensione spontanea progredisce senza le caratteristiche fiamme. La diffusione della reazione chimica porta, inoltre, a un quasi uniforme rilascio di calore a un buon livello termico.
I ricercatori hanno predisposto questo sistema nell'ambito di un combustore adiabatico, uno degli impianti tipici utilizzati nelle turbine a gas per la produzione di energia elettrica, indagando nel dettaglio ogni reazione chimica prodotta. “L'obiettivo principale del nostro studio è stato quello di comprendere esattamente i processi che si verificano durante questo tipo di combustione”, afferma Sassi: “I risultati delle nostre sperimentazioni mostrano che, anche ad alte temperature e pressioni, le emissioni di ossido di azoto sono notevolmente ridotte, suggerendo così che la combustione Flox possa diventare una strategia efficace per ridurre l'inquinamento e incrementare, al contempo, la produzione di energia”. (l.s.)

Fausto Intilla - www.oloscience.com

Diossine: tra bufale e verità


Tra bufale e verià, Moebius fa il punto sulla diossina presente negli alimenti. I dati sono meno scontati e allarmanti di quello che è apparso in queste settimane.Parliamo della diossina e degli effetti fisiologicamente positivi che infinitesime dosi hanno sulle nostre cellule con Antonio Malorni dell'Istituto di scienze dell'alimentazione del Cnr

Ascolta l'intervista ad A. Malorni realizzata da Barbara Gallavotti

Dichiarazioni di A. Malorni a proposito del dibattito sulla diossina contenuta nelle mozzarelle di bufala:Credo che per un ricercatore sia un dovere contrastare l'allarmismo e il terrorismo scientifico. Come esperto del Cnr ho monitorato per più di due anni, dal 2003 al 2005, i prodotti del "Consorzio per la tutela del formaggio mozzarella di bufala campana" e posso affermare che l'87% dei campioni controllati erano da considerarsi incontaminati. Infatti, per convenzione, tali sono da considerarsi tutti gli alimenti che contengono meno di 1 picogrammo di tossicità equivalente per grammo di grasso (1 pgTEQ/g), dal momento che alimenti con livelli di diossine zero non esistono e probabilmente non sono mai esistiti. Del 13% rimanente, l'11% aveva un tenore di diossine compreso nell'intervallo 1-2 pgTEQ/g di grasso e solo il 2% superava il valore di 2 pgTEQ/g di grasso, rimanendo comunque sotto il livello di legge che è fissato per motivi di precauzione a 3 pgTEQ/g di grasso. Avendo anche seguito le analisi di autocontrollo dei produttori, posso tranquillizzare i consumatori: la mozzarella di bufala campana, almeno quella con il marchio di tutela del consorzio, è assolutamente sicura.Va chiarito anche che con il termine generico di diossine indichiamo normalmente 210 sostanze chimiche diverse, chiamate congeneri, appartenenti alla famiglia delle policlorodibenzo-p-diossine (Pcdd) e alla famiglia dei policlorodibenzo-furani (Pcdf). A questi congeneri bisogna poi aggiungerne 209 appartenenti alla famiglia dei policloro-bifenili (Pcb), prodotti industrialmente in grande quantità, a differenza delle diossine che sono, invece, prodotti indesiderati di processi industriali, quali alcune produzioni chimiche (Cvm, Pvc, clorosoda, etc.), e di attività antropiche, quali la combustione di rifiuti e di materiali organici.Diossine e Pcb sono sostanze organiche molto stabili e presenti ovunque. Le diossine, però, a diffferenza dei Pcb sono preesistenti nell'ambiente alla vita animale. Infatti, esse sono contenute in quantità apprezzabili anche in diverse rocce sedimentarie, come il caolino e l'argilla. Nel caolino americano, è presente una quantità totale di diossine di 200 milioni di volte maggiore di quella presente nella mozzarella di bufala campana con il marchio del consorzio di tutela. La presenza in questi minerali non ci dà però alcun fastidio, giacché non va a contaminare la catena alimentare.La pericolosità biologica delle diossine risiede nel fatto che, essendo - come già accennato - molecole molto stabili e persistenti, e accumulandosi principalmente nei tessuti grassi animali, esse vengono trasferite nella catena alimentare producendo un fenomeno di accumulo nella zona terminale della catena stessa nella quale si trova l'uomo. Le diossine, anche se con distribuzione diversa tra i vari congeneri, sono state sempre presenti nella catena alimentare a livello di tracce e devono essere considerate alla stregua degli oligoelementi, che svolgono importantissime funzioni biologiche a livello di tracce, mentre possono essere estremamente tossici in dosi massive. Le diossine, insomma, non sfuggono all'assioma di Paracelso, che dice: "Dosis sola facit ut venenum non sit" (E' la dose che fa il veleno).Per bassa dose si intende quella quantità di diossine che svolge una funzione fisiologica senza diventare causa di patologie. La prova indiretta di tale possibilità ci viene fornita dalle ricerche sulla proteina AhR, un recettore presente nelle nostre cellule con un alto grado di conservazione durante l'evoluzione del mondo animale, vale a dire che esso è presente in tutti gli animali, dall'uomo fino a scendere giù nella scala del regno animale. Studi successivi su tale proteina, compiuti sui ratti, hanno dimostrato che le diossine svolgono persino un'azione chemio preventiva e chemio protettiva nei tumori della mammella.

Fausto Intilla - www.oloscience.com

L'agorafobia si cura con la realtà virtuale


a cura di Mariachiara Albicocco e Federico Pedrocchi

Passeggiare in una piazza affollata, prendere il metrò nell'ora di punta o anche fare la fila alla cassa del supermercato per molti sono comportamenti abituali, per molti altri invece rappresentano situazioni di vero e proprio terrore. Il nome di questa psicosi è agorafobia ed è la paura dei luoghi affollati. Ci sono nuove tecniche per curarla e superarla. Uno strumento molto efficace sembra essere la realtà virtuale, cioè la ricostruzione di ambienti e luoghi virtuali (vedi foto accanto) in cui il paziente nella realtà vive situazioni di disagio psichico, tutto questo può essere fatto direttamente all'interno dello studio dello psicologo che, in questo modo, insieme al paziente vive la situazione di disagio e insieme la affrontano. In Italia Francesco Vincelli utilizza anche questo tipo di terapia con i suoi pazienti, ha scritto anche un libro con Giuseppe Riva e Enrico Molinari, dal titolo " La realtà virtuale in psicologia clinica. Nuovi percorsi di intervento nel disturbo di panico con agorafobia", Ed. McGraw-Hill.

Descrizione:Numerose ricerche in diverse aree geografiche hanno dimostrato l’efficacia della Realtà Virtuale (RV) nel trattamento delle sofferenze psicologiche. Gli ambienti ricreati mediante le tecnologie di realtà virtuale possono rappresentare un ulteriore contesto di interazione sociale attraverso il quale è possibile sperimentare emozioni e azioni, per far rivivere agli utenti le proprie paure, le difficoltà, i comportamenti disfunzionali e per far risaltare, nel contesto protetto di un laboratorio sperimentale o di uno studio clinico, il materiale cognitivo che ne sta alla base. Per queste ragioni anche la Psicologia, così come ormai da decenni la Medicina, può avvalersi della realtà virtuale come moderno strumento per l’assessment, la diagnosi e l’intervento. A dimostrazione del corpus teorico descritto nei primi capitoli, gli autori illustrano nella seconda parte i risultati di una ricerca clinica a carattere multi-centrico, sul trattamento psicologico del Disturbo di Panico con Agorafobia (DPA). Il trial clinico controllato evidenzia che la terapia del DPA assistita mediante la realtà virtuale consente di ottenere risultati efficaci in tempi più brevi rispetto alle terapie classiche. Per stimolare la ricerca e l’impiego clinico della RV viene allegato al volume un prezioso CD-ROM che contiene una versione funzionante di VEPDA (Virtual Environments for Panic Disorders with Agoraphobia) - l’applicazione di realtà virtuale utilizzata dagli autori per condurre le ricerche presentate. Il volume, scritto e curato con grande rigore metodologico e prima esperienza organica in Italia, è indirizzato a quanti, psicologi, psicoterapeuti, ricercatori e studenti non si accontentino di stare a guardare ciò che accade intorno a loro, ma vogliano sperimentare nuovi strumenti e metodi per la cura della sofferenza psichica.
Gli autori:Francesco Vincelli è professore a contratto di Metodi e Tecniche dei Test Psicologici presso la Facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e docente di Psicoterapia nelle scuole di specializzazione nazionali afferenti all’AIAMC. Giuseppe Riva ha insegnato come Professore Incaricato presso l’Università degli Studi di Cagliari ed è attualmente Professore Associato di Psicologia Generale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Enrico Molinari, psicologo e psicoterapeuta è Professore Ordinario di Psicologia Clinica presso la Facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove insegna anche Psicologia della riabilitazione. Dirige il Servizio di Psicologia clinica dell’Istituto Auxologico Italiano. Dal febbraio 2006 è Presidente dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia e componente del Consiglio Nazionale.

Fausto Intilla - http://www.oloscience.com/

Il suono del DNA e delle cellule


Uno studio italo-americano ha scoperto che le cellule suonano!E ora i ricercatori vogliono sfruttare questa proprietà nel campo delle cellule staminali.Le cellule producono dei suoni con cui si scambiano segnali in modo molto più rapido ed efficiente rispetto a quanto accade con gli scambi chimici. Un gruppo di ricercatori italoamericani sta studiano questa modalità di comunicazione, e spera di poterla sfruttare anche per indurre il differenziamento delle cellule staminali. Ci spiega tutto Carlo Ventura, dell'Università di Bologna, impegnato in questo progetto.

Fausto Intilla